Non solo il dolore personale ma anche il male causato negli altri e di cui poi ci sentiamo in colpa ci aiuta a crescere. La vita sa essere perdono e il perdono si manifesta nel porci davanti ad altre e seconde possibilità. Per questo ci vuole vigili e distanti dallo schema delle forme nella loro statica fisicità.
Gli incontri smuovono e definiscono.
Negli incontri ritroviamo ciò che abbiamo smarrito e l'amore caro che non è più rivolto a noi. Gli incontri sono manifestazioni, come da me già precisato in precedenti articoli. Sono epifanie esistenziali attraverso cui incontriamo l'Assoluto in forma velata ma altresì leggibile.
Gli incontri si rivelano e ci rivelano attraverso il contatto col mondo animale. Questo è uno dei primi punti focalizzati dall'uomo osservatore e cacciatore ed è alla base della cultura totemica. L'animale è via di conoscenza e mezzo di sostentamento in quanto vicino all'uomo sotto il profilo animico. Ciò lo porta ad essere tramite tra il mondo reale e quello dei defunti. È un canale di comunicazione fondamentale ed è lui a sceglierci e a venirci incontro per aprirci a nuove percezioni. Gli animali sono canali di convergenza cosmica e in essi ritroviamo chi non è più accanto a noi materialmente, ma continua ad esserlo con lo spirito.
Tra gli animali più enigmatici a svolgere questa funzione è proprio il gatto. Lo stesso defunto si può incarnare in uno o più animali contemporaneamente e, tenendo conto che lo spirito aleggia sullo spazio e sul tempo, nel gatto ritroviamo l'anima di chi pur rimanendo nella nostra dimensione terrena, è lontano da noi ma non col pensiero del cuore. È strano come proprio il gatto particolarmente sensibile all'energia sottile e del Cosmo non sia annoverato tra gli animali cari alle figure sciamaniche. Sicuramente il suo spirito indipendente è tra i motivi. Per la sua natura solitaria sembra svincolato da tutto e dai suoi stessi simili, al punto da avvertirlo distante dalla realtà umana per come è concepita. Il gatto è come se fosse una nuvola fluttuante di onde energetiche e ciò lo disgiunge da ogni presupposto atto a farne un simulacro totemico. Se il totem è traslazione sul piano figurativo dello Sciamano, ponte tra l'umano e il divino, il gatto è il divino stesso e per questo adorato e venerato presso gli Egizi e non solo. È un animale che ha origine nel Medio Oriente ma che ha trovato larga diffusione proprio per la sua elastica adattabilità anche nell'estremo Nord, dove ha mantenuto la sua sacra ritrosia che lo ha reso estraneo anche alle rotte di caccia dei primi uomini. Cacciare per le popolazioni sciamaniche significa provvedere a stringere un sodalizio con l'animale che si offre in vita predisponendosi al sacrificio, cosa a cui il gatto si sottrae perché veicolo di sacralità non trasmissibile all'uomo, per totali divergenze da costui sul piano fisico e psichico.
Il gatto è, sommando tutto ciò che la natura presenta in modo settoriale. Assembla in sé i quattro elementi e il suo nome "gatto" lo rivela appieno. In lui ritroviamo la radice mesopotamica della parola "notte" poi confluita in quella egizia con l'anteposizione della "G" gamma che nel sanscrito indica la rotazione del sole intorno al suo centro. Per questo il gatto ci riporta al Neolitico delle aree medio orientali dove si è sviluppata l'agricoltura. Alla lettera "gamma" è difatti legata l'azione di arare i campi e la parola "giogo" lo ricorda così come la parola "yoga" riferita alle discipline di meditazione diffusesi nell'India prearappa. Il gatto è pertanto l'asceta da emulare nel proprio percorso di distaccamento dai beni del mondo, e trova spazio negli antichi templi indù. Non è controllabile né gestibile. Non è assimilabile ma contemplabile, perché lui stesso contempla dall'alto la visione del mondo e per molti è l'incarnazione delle stelle.