La totalità nel senso di unità e completezza la raggiungiamo attraverso il capovolgimento dei mondi che esclude ogni sfuggenza o mancanza. Se oggi consideriamo l'abbondanza in riferimento alla farcitura del nulla, un tempo era da intendersi come ricerca della primordiale integrità perduta.
L'abbondanza di doni e sacrifici rivolti agli dei avveniva proprio al fine di far sentire il devoto in unità con lui. Era impensabile che il dio potesse inchinarsi all'uomo e qualora ciò accadesse, era considerato portatore di una buona o cattiva sorte in questa vita. Gli dei antichi entravano nell'uomo tramite i sogni o a contatto con lui nelle atmosfere di penombra e di soffuso silenzio ricorrendo anche alle sembianze di quegli animali che meglio li rappresentavano. Abbiamo una letteratura ricca di episodi di teriofanie.
Le teofanie sono sempre esistite, ma anticamente avevano l'impronta di un avvertimento. Dio si stendeva al fianco degli eserciti più di oggi, epoca in cui Dio tace nel suo mortificato silenzio perché la pace è una realtà alquanto lontana.
A cosa si deve questa differenza?
Innanzitutto va considerato il rapporto diverso tra uomo e territorio. Un tempo la proprietà era allineata all'identità culturale ed era quindi suolo sacro. In tale luce la spinta verso nuove aree di conquista era giustificata nel nome di Dio che tramite l'uomo tendeva ad essere rivelato là dove lo ignoravano. Oggi tali ragioni non reggono più e il territorio da conquistare è visto solo al fine di un incremento di denaro e materie prime utili. Le ragioni della guerra in nome di un dio valgono attualmente e almeno in apparenza per i popoli islamici estremamente conservatori.
La conquista avveniva anticamente in nome del dio a cui si era devoti o delle divinità, essendo le tradizioni antiche a prevalente carattere politeista. La fondazione di una città, la costruzione di un edificio sacro erano precedute da un rito di consacrazione beneaugurante. Un rito parallelo veniva celebrato in occasione dell'espugnazione di una città o di una vittoria sul nemico.
Con Gesù l'uomo entra in contatto con un nuovo modo di concepire la religione. Innanzitutto Egli elimina l'opulenza che nel passato l'uomo rivolgeva al dio di riferimento allo scopo di ingraziarselo e per devozione. Con Gesù si ha la separazione dei due regni, di quello terreno e di quello superiore. Intervento fondamentale per indirizzare l'uomo a concentrarsi sulle cose dello spirito che sono proprie del Padre.
Altra novità è il significato di popolo o gregge che non fa riferimento a una connotazione geografica ma che abita nell'infinità insita nell'uomo. Trasporre Dio nell'uomo è operazione prima di lui compiuta dai maestri indù e persiani ma Gesù più che sulla descrizione logica dei vari passaggi, si sofferma sui contenuti dell'anima non negando, anzi avvalorando in una certa misura, l'ingrediente del mistero che resta un pilastro della tradizione cristica.
Accettare la Parola evangelica significa permettere a Gesù di entrare nel cuore di colui che viene definito fedele. Non dobbiamo tuttavia immaginare la fede come un campo spianato in orizzontale. Le gerarchie esistono anche qui e non potrebbe essere altrimenti, essendo Gesù portatore di una nuova Legge maturata sulla Vecchia e ordinato in un discorso ben preciso quanto era stato lasciato nel vago dalla legge mosaica.
Il Cosmos è ordine e con l'ordine si costruisce un pensiero di pace attivo che abbraccia e pervade, agendo dall'interno su tutte le schiere e le dominazioni.