''Rammentare'' e ''Rammendare'', le connessioni del tempo nella civiltà umana
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''Rammentare'' e ''Rammendare'', le connessioni del tempo nella civiltà umana

Amore e Psiche
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Dipinto di Bartolomeo Giuliano
Dipinto di Bartolomeo Giuliano

 

Un verbo antico che viene ripreso dalla scrittura aulica del Romanticismo è "Rammentare". Lo ritroviamo nella poetica di Leopardi accanto agli altri due verbi simili "Rimembrare" e "Ricordare". Se quella del ricordo è un'attività sottile ma altrettanto pervasiva, il verbo "Rammentare" ne completa la visione.

Il primo verbo "Rimembrare" ci parla proprio della pervasione invasiva del ricordo avvertito in ogni parte del corpo, le membra appunto. È una condizione febbrile di cattura e trasporto totale già da me menzionata nei precedenti articoli. Il rimembrare è pari a un incantesimo ben più profondo del semplice ricordare che si colloca nel cuore e ad esso fa riferimento. Il primo verbo parte dalla suggestione prima che convinzione secondo cui ogni cellula del corpo sviluppi una sua memoria. Il rimembrare è vibratile e a rendere bene la percezione dell'effetto indotto è il fatto stesso che si preferisca il verbo come sostantivo.

Rammentare è riportare alla mente. Una sorta di rivisionamento spontaneo dettato da un andarsi incontro reciproco tra lo stimolo e il ricordo, e l'effetto scaturito. È un riappropriamento di un qualcosa già vissuto nella contingenza e soprattutto con l'anina. Riappropriarsi di un qualcosa di molto distante e di collocato su un altro segmento rispetto alla linea spaziotemporale è un'impresa resa possibile solo dall'anima capace di collocarci su un piano che introduca a una prospettiva più alta o profonda. Il rammentare però non è l'attività fredda di ricostruzione perpetrata dalla memoria. È un rinvenimento a sprazzi che equivale al recupero di relitti significativi dai fondali del tempo. Nella distesa piatta dell'assenza, creano l'effetto di tanti riquadri di stoffa applicati lì dove compaiono i buchi alla scena del ricordo.

"Rammenti?" È un suggerire la ricomposizione di un'immagine per il poeta essenziale nell'ordine dell'esistenza. È un voler riprendere il filo spezzato dalla dimenticanza. Dimenticare non è forse un poco come morire? E un morire insieme a quelle vicende dimenticate e lasciate in sospeso sulla fune del tempo. Partendo da questo, il rammentare ci collega a un verbo primitivo che è "rammendare" in rapporto all'arte del cucire. Si rammenda una stoffa o un vestito, tamponando strappi e lacerazioni. La vita anticamente, come ci suggeriscono il filo di Arianna ma e soprattutto la triade femminile associata alle tre Moire o Parche, è concepita come una filatura che segue un ordine e diversi inciampi. All'ultima Moira Atropo è dedicata la tragedia greca in un'epoca, a partire dal VII secolo a.C., in cui Atropo viene a definirsi come la Moira per eccellenza, rappresentando il destino di morte. Colei che taglia la tela, Atropo appunto, la ritroviamo nel Salento dove diffusi sono i rituali di Magia femminile in rapporto alla tessitura, col cognome Taglialatela.

Arianna ma anche Penelope che tesse al telaio sono la prima una forma di salvezza a cui fa riferimento l'ordine eseguito nella filatura di un capo o di una stoffa, avendo in mente il disegno del lavoro compiuto. La seconda ci riporta all'attività del rammentare, una sorta di richiamo eseguito attraverso i fili intrecciati dal telaio, che guida l'oggetto del pensiero, nel caso di Penelope, Ulisse a tornare da lei. Ecco l'incantesimo. Attraverso la disposizione giusta dei fili si compie quanto Penelope dal suo cuore richiama ed è nella volontà anche di Ulisse.

"Rammendare" e "Rammentare" si ritrovano nella loro corrispondenza anche nella Magia Nera. Spesso il rammentare comporta un'applicazione forzata che disturba l'ordine e la fantasia della stoffa stessa. Dire "mettere una pezza a colore" significa propriamente rispettare la stoffa e non agire su di essa arbitrariamente.

Tra i due verbi la diversa dentale fa la differenza, lasciando intuire il rapporto strettissimo e relazionale tra loro, alla base della struttura immaginifica femminile. Nelle civiltà primitive la conceria di pelli era opera dell'uomo cacciatore. Nel passaggio dalla civiltà cacciatoriale al Neolitico vero e proprio si assiste all'avvio della tessitura affidata esclusivamente o quasi alla donna.

 

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Ippolita Sicoli
Author: Ippolita SicoliWebsite: http://lafinestrasullospirito.it
Responsabile del Supplemento di Cultura "La finestra sullo Spirito" del quotidiano online "ilCentroTirreno.it"
Docente della Federiciana Università Popolare, Specializzata in Discipline Esoteriche, Antropologia, Eziologia e Mitologia, ha partecipato in qualità di relatrice a convegni e conferenze. Ha pubblicato le seguenti opere: “Il canto di Yvion - Viaggio oltre il silenzio” prima edizione Wip Edizioni 2003, seconda edizione Ma.Per. Editrice 2014. Il romanzo “Storia di Ilaria e della sua stella” Edizioni Akroamatikos 2008. La raccolta di racconti per ragazzi “Storie di pecore e maghi” Ed. Albatros 2010. Il romanzo “Il solco nella pietra” Editore Mannarino 2012. Il saggio antropologico “Nel ventre della luce” Carratelli Editore 2014.

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