Un soffio di luce sfiora le nubi appena sopra l'orizzonte. Sono labbra che si chinano a baciare il fiore della notte e poi subito si richiudono nel loro velluto privato. Gli occhi sfiorano e prendono il nettare delle immagini, che subito fugge dopo aver colpito lo sguardo. Ci colpisce ciò che poi scolpiamo in noi e ci definisce. Abbiamo bisogno di prendere per definirci e dare luce a noi stessi. Apprendere per formarci, e in questo si svolge il disegno sublime della gratitudine.
Cos'è costei se non il frutto di una immersione nel senso delle cose? Nel loro grembo o succo primordiale da cui elevarsi fino a sposare il cielo? Non può esserci gratitudine nell'arrendevolezza codarda che chiude la porta al destino e alle svolte della vita. La gratitudine è riuscire ad essere nonostante tutto. È vagliare e valutare, e poi conoscere.
Il fiore sboccia e si schiude, portando alla luce se stesso. È questo il dovere e il vero fine della Natura, che spesso l'uomo dimentica. Realizzarsi, portando alla luce se stesso.
La scultura come definizione
Le labbra sono occhi
che sfrecciano e nuotano
sulla pelle dell'abisso.
Sono occhi che toccano e carpiscono
e armano il desiderio.
C'è risolutezza nello sguardo che coglie
e si realizza
senza consumare alcun pasto prelibato.
Ogni stella rimane al suo posto
come merletto tenue
che straborda dalle pieghe dell'anima.
E la notte è di per sé incenso
che si leva ai trilli dell'alba
nella soddisfazione muta
che intona versi
ai desideri.
Ippolita Sicoli