Che cos'è la vita se non una prospettiva che si dispiega dalla lacerazione? È rottura con quel tutt'uno che siamo stati, da quel tutt'uno da cui nel presente siamo diversi e a cui aneliamo apparentemente snaturati tra le pieghe inspiegabili del tempo.
Alla lacerazione che crea la vita si contrappone la ricomposizione della dolcezza, un sentimento di amalgama che stende un velo di soavità laddove la lacerazione ha prodotto la scissione. Per cui, ciò che eravamo è sogno disgiunto. E proprio il dolore che ci fa sentire persi e sull'orlo dell'abisso che spegne ogni cosa, all'origine è il passaggio attraverso la soglia dell'esistenza. Il dolore è la causa e il mezzo per cui prendiamo coscienza di noi e del vuoto da riempire con le azioni. Vuoto che ci separa dall'origine e dall'apeiron iniziale. È il dolore perdita e motivo di ritrovamento. La dolcezza è il sorriso che ci ricompone e che ci fa dire che la vita, tutto sommato, è degna di essere vissuta.
Il mio porto sicuro
Sciogliere e ricucire.
Ciò che l'amarezza fa,
la dolcezza cura e guarisce.
Se la dolcezza fluidifica
e rende la roccia miele,
altresì ricompone e rinvigorisce
la casa in bilico sulla forra.
La dolcezza è mistero antico,
è la poesia che riporta gli uomini bimbi
e gli eroi folletti felici.
Sa essere leggera
e mitiga come
il sorriso dei girasoli in un campo di spighe.
Ondeggiano.
Io seduta sulle tue gambe.
La tua voce mi riporta all'infanzia.
E tu, mio uomo,
sei padre e madre e mi culli sulle ginocchia,
come la luna alta di primavera
che dondola nel buio le stelle,
e conduce il firmamento nella notte
che imbeve le guance nel sonno.
Tu, beata falce,
sei la prua della traversata.
Sei la ninna nanna del porto sicuro,
e le braccia poderose che mi cingono,
l'ancora di ogni salvezza.
Ippolita Sicoli