Questa prosa lirica ha una sua storia. Fu il mio compito in classe d'italiano durante il V ginnasio. Eravamo a fine anno e la professoressa ci diede traccia libera. Io le chiesi se potessi scrivere una prosa lirica e lei non si oppose. Il risultato fu questo componimento e ai quadri mi assegnò come voto dieci.
A questo componimento sono particolarmente legata perché esprime tutta la mia voglia di vivere di quel periodo. Diverse suggestioni hanno concorso alla sua stesura. Tra queste ricordo il mare di Amantea dove adesso vivo, che nel mio secondo romanzo non esito a definire il mio mare per i contrasti che prendono vita dentro di me quando cambia e da calmo si fa agitato. Le immagini qui evocate sono alla radice della mia scrittura e ricompaiono nei romanzi scritti successivamente assumendo altre sfumature in accordo alle trame.
Ricordo la frescura delle mattine dei tempi di scuola e poi, alcune canzoni che circolavano dentro di me allora liberamente, in accordo con i miei stati d'animo. Tra queste un posto particolare occupano la canzone Oceano dei Pooh, A strang day dei Cure, Vision in blue degli Ultravox e Driving away from home degli It's immaterial.
Oceano
Ai confini
dei deserti dell'anima,
l'uomo osserva
la sua vita.
E la sua vita si sciolse così...
incominciando da una sera d'inverno,
da una notte cupa.
Il mare era una tavola buia,
un corpo senza vita,
una presenza impercettibile ma profonda.
Lo vedeva estendersi
per orizzonti misteriosi, senza fine, e
incominciò a correre
nel suo viaggio
ai confini del mondo,
nella sua fuga dalla realtà.
Spersi nel buio
opaco e denso,
i suoi occhi affondano
nella profondità della notte e
da quel mare emergono
i fantasmi del passato,
le ansie e le gioie perdute,
in un'eco senza fine.
Li vedeva uscire a fiotti
disordinatamente,
seguendo gli impulsi della mente.
Si libravano leggeri
come coriandoli.
Si contorcevano nell'aria
freschi e giovani
Come non mai.
Il gitano scese
pestando le ombre dei villeggianti
ormai confuse.
Si sedette
in riva al baratro ed
osservò in silenzio,
in pose ascetiche.
La sua vita si scioglieva così...
e a suon di musica
cercava di afferrare i rivoli che
si libravano leggeri:
attimi intensi della sua vita.
Ma questi sfuggivano
dalle sue mani di ragazzino e
annegavano,
sprofondavano giù
per luoghi impervi, angusti,
celati dalla sua anima.
La sua scienza spariva
dinanzi all'immensità della vita,
crudeltà amara dell'esistenza.
Adesso ritornò vecchio,
i suo colori sbiaditi.
Si alzò,
le gambe incurvate,
i segni tangibili
delle fine di un viaggio.
Camminò
ai confini della spiaggia,
ai confini del suo mondo, e
rivide, rivide
ragazzi e villeggianti
passar veloci. E poi, ancora,
lì alla svolta,
una luce bianca fendeva il nero del buio:
l'immagine del faro nella notte.
Lì dietro di lui era l'estate e
davanti,
qualche stella brillava
spenta in cielo,
immobile,
in quella calotta celeste.
Il domani
già bussava alla sua porta
col suo futuro,
se ci sarebbe stato
un futuro.
E il vento alitava
sull'erbetta fresca che
vibrava lentamente.
Guardò di nuovo il mare:
specchio opaco,
riflesso del nulla.
- ti chiamano Oceano - disse,
e dileguo' nel buio.
Ma io non ero
il vecchio gitano!
I miei colori
vivi e lugubri
in uno strano giorno,
un giorno di festa.
Il mattino sorgeva
alto
nella sua frescura integra,
nitido azzurro
spaziava all'infinito.
Me ne andai via da casa
in una mattina d'estate.
Il mare
lì davanti,
era il riflesso della mia anima.
Limpido, tranquillo
s'increspava lentamente.
Profondo e insondabile
io lo vedevo.
Vedevo il suo fondale
colorato a scaglie di pietra.
Una musica leggera
vibrò nell'aria.
Vidi la mia anima
danzare in alto,
aggraziata si muoveva angelica,
ed io,
non potevo altro
se non fotografare.
- Ti chiamano Oceano - dissi,
e il mio sguardo spaziò
ai confini della realtà.
Piccola io,
sdraiata
nell'immensità della spiaggia bianca.
Il volto puntato in alto
a fissare
l'astro del giorno che
si scaldava sempre più.
Perfetto in alto,
si scontrava con il volo
bianco dei gabbiani.
Fu l'apice
in un giorno diverso.
Corsi corsi...
il vento nelle mani ,
il mio oceano,
la mia anima,
era gonfio di vita!
Mi fermai di colpo.
Osservai l'orizzonte che
separa l'azzurro dall'azzurro.
Dietro la striscia blu,
altri giorni mi attendono
e davanti all'immagine
penetrante dell'infinito
io, per il momento,
voglio solo esistere.
Me ne andai via da casa
in un giorno d'estate,
quando vi ritornai
era già inverno.
In un istante,
fui dovunque.
Ippolita Sicoli (19 maggio 1987)