L'amara vicenda del dj Fabo sta sollevando un impressionante polverone mediatico che rischia di andare oltre il caso in sé delicato quanto spinoso.
Dalle varie dichiarazioni postate dagli internauti emergono vari disappunti di natura ideologica oltre che religiosa che denunciano sommariamente da parte della società odierna la necessità di recuperare concretezza e una visione plastica del reale, ormai estinte.
Il quadro che è sconfortante e incrimina il virtuale additato a vero responsabile di una visione distorta del concetto di morte. Si ha l'impressione, viaggiando tra i commenti postati sul caso attuale di eutanasia, che non sia la mente a elaborare la realtà e a darle vita (secondo l'antica concezione bruniana) bensì l'intelligenza artificiale cibernetica che tende a sostituirsi all'uomo, al suo campo emotivo ed emozionale oltre che alla pragmaticità che nasce da un approccio reale e concreto col mondo. Il messaggio finale è chiaro e ribadisce la distanza dell'uomo da tutto e soprattutto da se stesso ormai cancellato dalla non sperimentazione e dalla non partecipazione alla vita. L'uomo è assente, cosi come è assente Dio. Mi ritornano a tal proposito le parole del papa Giovanni Paolo II durante il suo ultimo periodo di Pontificato, con le quali lanciava un messaggio fortissimo evidentemente non da tutti recepito nella giusta direzione. Dio si è chiuso nel suo silenzio.
L'accusa è difatti mossa contro l'uomo odierno incapace di provare pulsioni e sentimenti di stimolo alle sue azioni che risultano quindi slegate dalla coscienza. Paradossalmente, il virtuale ci sta riportando a livelli di regressione primitiva e brutale, in cui l'uomo pensante è assente a vantaggio di un animale istintivo, burbero e incapace di comunicare.
Dio in tutto questo non c'è. Non può esserci, perché nulle sono le azioni umane. Non c'è il Cristo armato di compassione e di quel cuore (al centro del pensiero di Burke e Rousseau) che ormai non usa più nessuno se non per quelle emozioni transitorie ed effimere, troppo scarse per far si che un soggetto venga definito persona.
Non c'è la persona e quindi non può esserci Dio. La persona agisce, è compresente e corresponsabile con Dio della realtà. E' missionaria della verità vissuta non con lo sguardo vitreo di chi si erge a giudice al di fuori e al di sopra, ma consapevole e cosciente perché forte della propria identità. L'uomo ha perso la sua identità che lo fa unità col Cristo e quindi con Dio. Il giudizio ridisegna una società separatista e qui Dio non può esserci, cosi' come non può trovare spazio il principio di libertà. La libertà porta alla costruzione e a tal fine presuppone l' individuazione del Sé che prepara all'azione. La responsabilità individuale difesa da filosofi del calibro di Sartre oggi è discriminata in virtù di leggi distanti dall'uomo e dalla vita reale.
Il protagonismo individuale con cui viene affrontato il tema dell'eutanasia dimostra ancora una volta l'inefficacia di una religione atrofizzata su precetti che non considerano l'elevazione dell'individuo sul piano della dignità e confliggono con i principi della più autentica Cristianità secondo i quali l'uomo non è il burattino oggigiorno robotizzato nelle mani di Dio, ma, grazie all'intervento di Cristo (il Figlio dell'Uomo) coautore con Lui della realtà.
Lo scetticismo nei confronti dell'eutanasia ha però come alleato anche un altro fattore: la diffidenza e la sfiducia nella Legge e nelle figure preposte alla sua tutela. La corruzione complica notevolmente il quadro della società attuale, mettendo in una posizione poco chiara e scomoda il verdetto dei medici, infondendo così nuovo respiro a una già di per se rugginosa burocrazia.