Un Governo che pensa a sistemare gli effetti e non a risolvere le cause non produce nulla di buono. Zingaretti invitato da Giletti in studio ha dichiarato di aver inserito tra le priorità in agenda l'impiantamento di migliaia di alberi per compensare la catastrofe in Amazzonia.
Opera meritevole di attenzione e lode se non fosse che a causare gli incendi qui da noi non sono le Mafie come si vorrebbe far credere, ma la disperazione e lo sconforto di vedere vanificare i propri sacrifici per mano di una politica incapace di conferire dignità a chi vuole lavorare, trascurando così i principi basilari della Costituzione. Una politica che non forma, ma deforma i fatti tramite la spettacolarizzazione, getta fumo negli occhi e non costruisce. Una politica che si sofferma sugli effetti e non sulle cause da correggere o estirpare, pone al centro del dibattito i soldi, riproponendo l'ideologia materialista. Intervenire sugli effetti porta vantaggi inestimabili a chi rientra nel gioco, ma relega ai margini lavoratori e forze sociali in attesa di serie politiche di avanzamento dell'economia che abbiano a cuore i singoli e non le grosse lobby affaristiche detentrici del monopolio delle cure chimico farmaceutiche così come degli agenti innescanti.
Non si può ritornare a fiorire insieme, se non si curano le piaghe che il singolo porta dentro di sé e di cui tutti siamo responsabili.
L'attuale politica che ci amministra ci rende tutti più fragili, ossia incapaci di discernere il vero dal falso e arma l'irresponsabilità. Non si puo’ essere consapevoli se non in presenza della libertà su cui si fonda la capacità di operare una scelta. Difatti oggi una scelta manca, perché manca la serenità di poterla operare. La carenza di lavoro a tempo indeterminato apparentemente vorrebbe gettare le basi all'imprenditorialita' che arma l'ingegno del singolo. Questo è una delle tante falsità messe in circolazione al fine di dare sostegno alla società fluida contestata in tutto dalla sociologia del lavoro. La precarietà in realtà non alimenta la capacità di autopromuoversi, al cui fine occorrebbero idee molto chiare su ciò che si vuole fare. Oggi, la società caotica alimentata da una politica affatto lungimirante e incapace di programmare non formula alcun tipo di aspettativa, sortendo così l'effetto di demotivare. Se un tempo il lavoro era anche motivo di realizzazione sul piano esistenziale oltre che professionale, oggi il mondo degli adulti in senso lato è un tirare a campare senza alcun orizzonte. Un lavoro vale l'altro pur di riuscire a sopravvivere, e questo principio soffoca ideali e ragioni etiche.
Una certa cultura vuol far credere che tale situazione generalizzata sia il risultato del Berlusconismo il cui obiettivo sarebbe stato quello di favorire le privatizzazioni. In realtà il Berlusconismo aveva come obiettivo l'individuazione e la formazione di giovani rampanti motivati e combattivi indispensabili per una società altamente competitiva. Oggi questa realtà non esiste più. La destabilizzazione sociale ha minato anche il settore del lavoro, privando i nostri giovani della facoltà di tradurre aspettative e sogni in realtà. Il titolo ormai ridotto a carta straccia non è più garanzia di nulla e si ha persino la sensazione che evolversi studiando non serva a completarsi ne'a realizzarsi. Si studia per cosa? Se poi la classe dirigenziale va assottigliandosi delle cosiddette menti e non solo? La precarietà orienta il flusso dei tanti neolaureati costretti ad espatriare se non a una vita di randagismo entro i propri confini, traslocando da una mansione all'altra, da un'azienda all'altra o finendo con l'impiegarsi in lavori per i quali anche il diploma sarebbe superfluo.
A farne le spese è soprattutto il nostro Meridione disagiato già in partenza per una politica assistenzialista che ha di fatto impedito la fioritura di aziende e di quella imprenditorialità che altrove nel secolo scorso è stata motivo di slancio economico. Il Sud, fanalino di coda d'Italia e d'Europa, il cui valore si commisura al peso elettorale dei suoi abitanti, si rivela di volta in volta la carta vincente dei partiti al governo. È la riscossa dei propositi, di quei programmi subito accantonati una volta costituitosi il nuovo esecutivo. La situazione attuale purtroppo non smentisce questa analisi e la prova è proprio la lotta all'evasione che, nei provvedimenti, mina i piccoli evasori del Sud, ossia gli esercenti di piccole attività che lottano sul luogo affinché i loro centri non spariscano del tutto dalle mappe geografiche. Il bar della piazzetta, la salumeria o il tabacchino sono ancora l'anima di quei borghi che rischiano di diventare fantasma, garantendo la sopravvivenza di quel minimo di servizi assistenziali che altrimenti sparirebbero del tutto. Non sarebbe alla luce di ciò opportuno avviare una politica fiscale ad personam? Che non spremi ulteriormente chi è stato già dissanguato dalle precedenti legislature e che aspetta di risorgere? O forse Cristo si è fermato ad Eboli per sempre??
La produttività di un Paese non può fondarsi sul meccanismo erogazione e riscossione delle tasse. Le tasse sono un contributo dovuto allo Stato da tutti, in proporzione al reddito liquido, tralasciando i beni immobili di coloro che non usufruiscono di altre fonti di guadagno e vedono nella proprietà l'unica garanzia per una vita dignitosa. In Italia si e’ sempre puntato a far cassa tramite l'erario anziché pensare e costruire una giusta politica economica. La mentalità affaristica non poggia su una logica lineare espressione di buon senso. Le assurdità che contestano le superstiti menti libere nell'attuale società, sono specchio della mentalità bizzarra e assolutamente illogica che ci governa, ossia dell'anarchia capitalista.