Siamo tutti consapevoli che la pedofilia flagella la società, ma le precauzioni per arginarla siamo restii a prenderle.
Un tempo i bambini sciamavano per le strade del quartiere unendosi, a volte sovrapponendosi al garrito delle rondini. Dopo il tramonto, quando il brusio degli astri si infittisce, si radunavano sotto casa, mescolando le voci alle loro ombre. Oggi, bambini per strada non se ne vedono più. Sono adulti ingrigiti dalla schiavitù delle comodità .Di corsa s'infilano nelle auto dei genitori che li depositano in una qualche palestra, o in un parco giochi blindato, uno di quei depobimbi, per usare l'espressione altamente indicativa dello scrittore Michael Ende. Tutto è fatto ad orari nella convinzione che il tempo sia una dimensione preziosa non da condividere, ma da far fruttare in moneta. E così, bimbi dimenticati in auto mentre si fa la spesa, o peggio ancora, nel parcheggio sotto l' ufficio o, al limite del credibile, nel posto macchina all'ingresso della discoteca.
Scuola, danza, palestra, musica e il tempo vola via, quel tempo che ha il rintocco del nostro cuore e che pure, dal nostro cuore non viene piùscandito. Si ha paura di tutto oggigiorno, di perdere ciò che si ha perché il tutto è entrato a far parte dell'ingranaggio delle abitudini che ci assorbe in una vorace spirale il cui esito ci distanzia sempre più dal privato. E' difficile oggi trovare una definizione a tale parola. Privato può essere un luogo, qualcosa di acquisito tramite contratto stipulato dietro pagamento ingente, oppure il posto ombrellone in spiaggia, un club...ma difficilmente tra le definizioni trova la sua collocazione quel non luogo creato dagli affetti, la casa dell'anima che non curiamo più.
Di privato oggi non c'è più nulla a causa dello spiattellamento compulsivo sui social network di quegli spazi riservati che un tempo occupavano le righe del diario oppure dell'album fotografico di famiglia. Oggi si ha paura di tutto, eppure quel tutto che noi temiamo è nulla in confronto ai pericoli dettati dall'uso spasmodico di una tecnologia che ci sfugge dalle mani e che ci tiene testa. Di bambini per strada non se ne vedono più, colpa dei pedofili, chissà! In compenso vengono lasciati soli dinanzi al mutismo di un computer col quale non puoi dialogare, né condividere l'emozione di una bella gita all'aperto. Il computer può contenere il mondo, ma è quel mondo per cui tu non sei che un paio di quei milioni di occhi che ti guardano, ma non esprimono ciò che vorresti. Non sono stelle che brillano di risposta al tuo saluto, né le lucciole che svolazzano come fate nelle chiare sere di giugno. Non le hai mai viste, ma sai che esistono. Non le hai mai viste perché a una certa ora la campagna partorisce mostri, questo ti hanno raccontato. Ma nessuno ti ha mai detto, fanciullo, che oggi quei mostri sono diventati docili e che il vero nemico si annida dietro lo schermo che tu accendi per non sentirti solo a casa tua.
Attento! Ti urla la mamma dall'altra stanza. Il mondo è pieno di pericoli e maniaci! Ma mentre tu ascolti, lei ignara ha messo in rete la tua foto dell'ultimo compleanno o di anni prima, del tuo Battesimo, senza averti prima consultato.
Come hanno sostenuto due dei più grandi pensatori di ogni tempo, Fromm e Gibran, i figli non sono proprietà dei genitori, riflessi immobili dei loro desideri inappagati. La presenza di un genitore deve essere un faro capace di fare luce sulle scelte che i futuri adulti imboccheranno. I mostri ci sono, è vero, e abitano la solitudine di un figlio.