Considerare il Medioevo chiuso alle influenze mediorientali e arabe significa non comprenderlo in profondità. Nonostante il pieno controllo della Chiesa sulla società e sulla vita culturale, sono tanti i riferimenti che ci riportano alla cultura mediorientale, attraverso l'Adriatico e l'Egeo.
Un carattere fondamentale che si rifà all'Oriente allora conosciuto è il simbolo del fiore. Prima dei Greci e dei motivi decorativi dei loro capitelli c'era già una nutrita esperienza sul linguaggio dei fiori nei territori caldi dell'Egitto e della Fenicia, così come del Nord Africa e nelle aree oggi considerate Arabia.
Ovunque ci fosse un rivolo d'acqua sul suolo arido, il fiore dava segno di vita e divenne simbolo della mano di Dio che accompagna l'uomo e non lo lascia solo nel suo sconforto. Il fiore è simbolo del prodigio divino e del sorriso della terra. Nonché della Provvidenza.
I giardini della prospera Bisanzio pervadono l'immaginario medievale che si trova così conteso tra i fermenti nordici e quelli che giungono dalle terre del sol Levante. L'esotismo spesso relegato alla fine dell'Ottocento e al periodo dell'Art Deco vive nel Medioevo un suo momento d'oro. Gli arazzi arabescati con colori vividi ammantano i ruvidi interni dei castelli e riscaldano la nuda pietra, portando i ricchi signori e le loro dame a desiderare e sognare nuove conquiste.
Di stimolo alla concezione del Paradiso all'interno di corti e castelli è proprio il giardino profumato di fiori e abitato da uccelli eleganti come i pavoni. Se nell'antico Medioevo si pensava al Paradiso, il luogo più vicino alla rappresentazione collettiva era proprio il giardino orientale. Sicuramente più dell'immagine teologica vera e propria, appannaggio della Chiesa. A influenzare l'immaginario collettivo c'è la confusione tra Eden e Paradiso stimolata anche dai racconti epici bretoni e provenzali facenti riferimento alla mitica Avalon, tra tutti i paesaggi fantastici quello che splendeva e ammaliava di più, grazie anche all'apporto delle narrazioni barde che viaggiano di corte in corte. La corte medievale era già un luogo incantato per chi lo visitasse mantenendosi al di fuori di intrighi e scandali. "Corteggiare" deriva da "corte" col significato di fare cerchio. In "corte" è presente la radice "cor: cuore". Essa era di fatto l'anima brutta e buona del castello.
Il corteggiamento dell'uomo verso la donna matura nel Medioevo e rispetta un codice alquanto rigido anche nel popolo. Qui la donzella nonostante fosse innamorata, era tenuta a mostrarsi riservata e distaccata. Tra gli aristocratici i matrimoni erano tutti decisi dalle famiglie di pertinenza e l'amore vero era riservato ai vagheggiamenti stimolati dai cantori di corte. Le romanze commoventi del prode cavaliere e della sua nobile morosa movimentano la vita del castello dove purtuttavia la quotidianità era resa vivace dal via vai di parenti e di alti dignitari al servizio del signore. Nel Medioevo, strano a dirsi, la gente si spostava e spostandosi e non solo per pellegrinaggi, assorbiva storie e credenze che alimentavano la spiritualità e le vie di fuga dell'anima. L'anima era l'unico posto in cui gli estranei non potevano entrare. Per il resto non ci di poteva fidare di nessuno. Il detto "anche i muri parlano" calza a pennello. Tante erano le botole e le vie di fuga, nonché i passaggi segreti a testimoniare a noi oggi il clima di pericolo e di diffidenza che allora si respirava. È forse questo il tratto del Medioevo che è sopravvissuto nei secoli ed è pervenuto a noi oggi, che sembra confliggere con gli ideali di bellezza sobria e gentile che pure attraverso i dipinti e le memorabili opere sono giunti fino a noi, densi di meraviglia.