Il tempo non esiste. È nell'oggi compimento ed evoluzione. È nell'oggi l'incontro. L'oggi è il presente che contiene diversi segmenti della nostra vita. È nell'oggi il compimento del passato. È nell'oggi quello che sarà il nostro futuro.
Il tempo automaticamente si trova legato alla verità e a ciò che sappiamo di essa. La frammentazione del tempo si accompagna imprescindibilmente allo smembramento della verità che ritroviamo presente sotto diverse identità. Al tempo la cultura occidentale fa risalire anche il concetto di identità sul quale si interrogano i filosofi più moderni, e prendendo in prestito un termine prettamente ecclesiastico, oso dire, ecumenici per il confronto perseguito con pensieri che attengono ad aree geografiche distanti tra loro remote.
Sul tema della verità si apre un interessante dibattito nel Romanticismo, che perdura nel secolo successivo acquisendo toni anche di duro scontro.
Per il Romanticismo la verità è ricerca che s'infila nella trama della narrazione o di quanto l'artista intende riflettere e porgere al mondo da compositore attraverso la musica, o da pittore attraverso la rappresentazione del suo pensiero. Il sincretismo di musica e testo non dà adito ad altre soluzioni e fissa quello che non è solo il pensiero del compositore che quindi si fa veicolatore di un sentimento collettivo. Il collettivo sposa l'individuazione che si limita per così dire a fornire le sue variazioni a un tema che sostiene il sentimento collettivo. Lo vediamo con Verdi, Puccini e tanti altri.
Che cos'è dunque la verità per L'Ottocento? È una realtà altra e superiore per Schopenahuer. È quanto viene definito dalla storia, per Hegel. Ritornando a Schopenahuer, egli giustifica e consacra l'impegno dell'artista a sfiorare i campi celesti della solitudine, elevandosi sul magma confuso delle illusioni. La sacralità è nell'oltre, in quei campi sterminati dove si rintana all'ombra del mondo e tra le foreste incantate di una luce superiore il poeta, il pensatore, l'artista.
Il tempo storico supporta la verità dei fatti col nitido fervore di chi si fa promotore di una forza collettiva che ambisce alla rigenerazione della società. Lo riscontriamo in Manzoni, così come in Verdi nell'impeto delle sue musiche. La finzione letteraria non è illusione ma è necessario supporto alla verità che va presentata e pedagogicamente trasmessa. Si pone allora il problema di un pubblico all'altezza di cogliere i messaggi presenti all'interno della trama o dell'opera musicale o pittorica che sia. Il libretto di supporto all'opera lirica viene letto solo da un pubblico colto e aristocratico che può permettersi di frequentare i salotti culturali e i teatri che hanno all'interno i loro salotti non meno efficaci delle sedi di esecuzione dell'opera.
I salotti nascono come ambienti di confronto politico e culturale. Di scambio delle idee pacifiche, in qualche caso spuntano toni eversivi come in quello antinapoleonico di Madame De Stael che verrà quindi chiuso. Per le forme più accese di contestazione troviamo le cosiddette sedi di brigate e circoli politici chiusi, come ad esempio la Carboneria.
Il problema del pubblico viene in un certo senso risolto dal Manzoni che riesce a modulare il linguaggio ricercato del poeta e narratore ottocentesco attraverso l'intercalare di periodi semplici con l'utilizzo di espressioni vicine a quelle del ceto operaio e contadino. Pensiamo ai dialoghi di Lucia e a quelli di Don Abbondio. Se ci riportiamo a quei tempi, possiamo cogliere l'importanza della grande operazione linguistica impugnata da Manzoni, che a poco però valse perché basso era ancora il tasso di alfabetizzati e tutto concentrato negli ambienti del clero e della nuova borghesia emergente, oltreché della vecchia aristocrazia.