Il cuore nella pietra. ''Io voglio vivere'' il romanzo di Luciano Natali per una umanità migliore
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Il cuore nella pietra. ''Io voglio vivere'' il romanzo di Luciano Natali per una umanità migliore

Interviste e Recensioni

Il cuore nella pietra. ''Io voglio vivere'' il romanzo di Luciano Natali per una umanità migliore

"La normalità è familiarità che si esprime attraverso chi abbiamo intorno e amiamo. La normalità è filtrare il bello che ci attornia, con gli occhi degli affetti. È altro dall'abitudine che ci porta a svincolarci dal tempo dei sentimenti e da chi siamo veramente. In una realtà in cui ognuno muove alla ricerca di una ridefinizione lontana dall'anima dei propri luoghi, i paesi d'origine sono un tutt'uno con chi ci ha consegnato alla vita e che noi generazioni nuove abbiamo destinato al silenzio.

Il romanzo di Luciano Natali "Io voglio vivere" nella sua efficacia narrativa esprime molto bene la necessità che si pone ai nostri giorni di preservare e continuare il rapporto con chi è anziano e ha posto i germi al nostro esserci."

''Io voglio vivere'' il romanzo di Luciano Natali

 

La quotidianità è familiarità. È la culla che contiene noi e la matassa della vita che si dipana estendendoci oltre i confini del già noto. Tutto comincia sempre e comunque da una giornata normale, una come tante che però a nostra insaputa ha la capacità di condurci altrove.

Oggi di comune normalità non sembra essere rimasto più nulla e non per colpa di un virus che ha messo a soqquadro la vita di tutti. La normalità è discesa ai livelli di abitudine, di quell'accumularsi di gesti e azioni registrati nella nostra mente e scanditi dal ticchettio meccanico dell'orologio , che noi definiamo vita.

L'abitudine è altro dalla familiarità, è assenza di cuore. È essere nel flusso costretto e distratto delle cose, senza portare noi stessi. È discrepanza laddove un tempo c'era unità. L'abitudine è la rottura del clima familiare, la lacerazione del nucleo di appartenenza che ci garantisce sicurezza nelle tempeste in cui ci sbatte la vita. Abbiamo bisogno di ritrovare quella normalità che è nido è familiarità, con quanto ci accoglie e nutre e andiamo perdendo.

A sgretolare l'oasi della nostra normalità è quasi sempre un evento burrascoso che c'infrange sugli scogli. Si spezza il cuore e ci sparpagliamo in sparute stelle, ciascuna con un carico di sentimenti, sogni e dolcezza che sopravviverà a noi con l'estro del raccontare. Ci raccontiamo per non disperderci e per preservare noi stessi attraverso la memoria che andiamo costruendo negli altri. Non disperdersi per ritrovarsi, un'operazione bellissima che racchiude il senso del nostro irragionevole viaggio su questa terra. Un'operazione affatto tecnologica in un mondo sovrastato dall'ingegnosa necessità di trasfondersi nella realtà cibernetica per colmare le proprie imperfezioni. Ritrovarsi e non disperdersi è già di per sè un nucleo, una famiglia semantica in un universo che ha bisogno di ripartire per ritrovare senso e bellezza.

È quanto si pone lo scrittore poeta cantautore Luciano Natali in questa sua seconda opera narrativa "Io voglio vivere", un romanzo in cui il punto di partenza sembra coincidere con quello di una precedente chiusura. Una struttura ad anello che racchiude e contiene quanto la vita oggi tende a disperdere. Una struttura ad anello come quella del Mito che conserva al suo interno la memoria degli avi e di quanto non abbiamo conosciuto, eppure vive e vigila dentro di noi.

C'è la necessità oggi, di quella che io definisco "sana letteratura", di ristrutturare e riconfigurare le esigenze intime dell'uomo secondo un modello che serva a salvare quanto stiamo perdendo. Ciò è possibile ripristinando al nostro interno la configurazione del tempo secondo i modelli antichi, ad anello per l'appunto, anzichè lineare. In questa configurazione arcaica l'avvicendarsi dei fatti non si pone come mera illustrazione degli accadimenti, ma esprime un'intima ricerca del giusto incesellamento dei fatti secondo una volontà che si rintraccia nell'uomo consapevole.

Nel romanzo di Natali di senso e compiutezza ce n'è davvero tanto. Direi anzi, che tutto poggia e si concretizza attraverso la narrazione dei fatti che trovano ragione di essere nel legame stretto che li nutre dall'interno. Ecco qui la potenza del narratore Natali. In un mondo secondo cui tutto è frammentato e i singoli avvenimenti non sono che vagoni scissi e separati gli uni dagli altri, Natali fa l'operazione contraria, ovvero lega e unisce generazioni distanti attraverso il cordone dell'amore oggi rarefatto e reso quasi invisibile da un concretismo retto tristemente da principi di uso e consumo.

Il fatto nuovo irrompe nella vita normale, forse cieca, a risvegliare dal torpore le coscienze e a slanciarle tra le braccia del futuro che è e non può che essere ritorno a chi siamo stati e che portiamo dentro, in viaggio con noi.

La morte della madre spinge Giuseppe a ritornare al suo paese d'origine abbandonato molti anni prima. Un nucleo famigliare è un albero dalle radici lontane e profonde verso le quali guarda il frutto più giovane, maturato sulla sommità dei rami e ben rappresentato dal figlio di Giuseppe, chiamato Luca. Costui erediterà la casa e tutti gli averi del nonno inaspettatamente, avendolo visto una sola volta al funerale della nonna. È così che deciderà di trasferirsi a Dona per dare una svolta alla sua vita impantanatasi a Roma. Dopo aver fatto fatica ad ambientarsi in un paese di duecento abitanti tutti anziani, riuscirà a farsi ben volere da loro, aiutando Alba, un’anziana in difficoltà. Conquisterà quindi l’amore di Maria.

Quando arriverà la pandemia Luca si sentirà in dovere proteggere i suoi amici anziani e di aiutarli con ogni mezzo possibile a non finire in istututo o in una Rsa. S'impegnerà nel progetto delle Cohousing allo scopo di far restare a casa i suoi nuovi nonni, gli anziani del paese, e offrire loro un'alternativa di vita in quei luoghi di solitudine e morte.

Come nella grande narrativa risorgimentale italiana o del Romanticismo inglese, tutto parte da un elemento iniziale di frattura che riconduce all'interno di loro stessi i personaggi della narrazione, coinvolgendoli in un unanime abbraccio.

In un mondo scandalosamente eroso che tende a franare su se stesso, l'autore Natali porge in modo delicato e altresì incisivo l'interrogativo verso quale futuro sia il caso guardare, se non verso un fine di reintegro in se stessi che abbia come riflesso il ripopolamento dei paesi disabitati e privati dell'accudimento dell'uomo, quasi questi fossero anima e corpo con i nostri anziani troppo spesso accantonati se non dimenticati. Se è destino dei figli andare per affermarsi, è dell'amore in sé, fulcro dell'Universo, sostenersi vicendevolmente, come all'interno del romanzo dimostrano di fare i nonni di Luca, divenuti l'uno tronco dell'altro. Il legame che li riguarda è cemento coriaceo che emoziona nella sua tenerezza e porterà il lettore a porsi non poche domande sulla carenza di solidità e sulla mancanza di progettazione che connotano l'amore odierno. È un libro questo, che parla dal di dentro ed è capace di smuovere le coscienze di tutti. È l'urlo lanciato da Luca di soli otto anni che non ha ancora conosciuto i suoi nonni, è l'urlo disperato dell'anziano che si vede abbandonato a se stesso. È il grido della pietra che ha su di sé la responsabilità del racconto di tante vite e non vuole cedere per non perdere quanto ha nutrito e coccolato dentro di sé. Perché anche le pietre sono racconto e cuore, e il paese Dona in cui decide di costruire la propria vita Luca, diviene espressione e simbolo di tutti i paesi della nostra Penisola, vittime dell'abbandono che si trasforma in incuria e silenzio.

Morire non è forse dimenticare prima ancora che venire dimenticati? Ci suggerisce la nonna Adele malata di Alzheimer.

L'opera "Io voglio vivere" appassiona perché retta e trainata dai sentimenti. È una via di mezzo tra la prosa e la poesia spontanea quanto ricercata che introduce ogni capitolo. È inno e invocazione di quella semplicità perduta che ritroviamo nello stile curato che non si lascia andare a divagazioni inutili o a edulcorazioni di sorta. Per tutta la narrazione si mostra al servizio della trama che appare dalle prime battute ben centrata su se stessa. Se oggi siamo abituati a scorrere pagine contaminate dalla confusione, qui l'ordine è un richiamo alle fondamenta dell'uomo e a quella sicurezza che solo i valori centrati sul rispetto reciproco e sul senso della famiglia possono trasmettere. "Io voglio vivere" risulta quindi un romanzo scorrevole, che si legge con piacere, che non disperde ma anzi arricchisce, grazie anche a una narrazione fotografica che aiuta a focalizzare scene e personaggi.

Tanti sono i temi e tutti concorrono alla creazione di una trama ben orchestrata. Dal tema dello spopolamento si passa a quello delle nuove sperimentazioni socioabitative mirate a tenere lontani i nostri anziani dallo spettro della solitudine. Per questo e per altre ragioni l'opera di Natali si presta molto bene a una versione cinematografica. Sarebbe di slancio a chi volesse sradicarsi dalle opinioni e dalla retorica transumanistica che ci propone modelli culturali per nulla legati alla qualità dei sentimenti più profondi. Sarebbe d’incoraggiamento al ripristino di chi siamo per guadagnare nuovi orizzonti con cui assicurare un futuro solido a noi, a chi amiamo e alle generazioni che verranno.

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Ippolita Sicoli
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