I paesaggi come luoghi dello spirito. La fotografia onirica di Claudio Scandelli
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ClaudIo Scandelli

Interviste e Recensioni

I paesaggi come luoghi dello spirito. La fotografia onirica di Claudio Scandelli

Esiste la fotografia che esplora spazi al di fuori della percezione umana e la fotografia invece, che aprendoci gli occhi su paesaggi involti in un'inestricabile mistero, porta l'uomo a internarsi nelle proprie sfumature e a rivolgersi a se stesso. È questo il caso della fotografia di Claudio Scandelli il quale, raccontandoci la terra della sua Crema, schiuderà a tutti noi spiragli del suo mondo fatto di poesia e incanto.

Sempre più raramente oggi ci tuffiamo con noi stessi e la nostra sensibilità nel luogo che scegliamo per vivere o da raccontare. Raramente oggi viviamo un luogo, perché ciò richiederebbe un dialogo approfondito e un approccio intimo con l'esterno che oggigiorno abbiamo perduto. Tutto nel quotidiano odierno scorre frettolosamente e freneticamente al punto da farci dimenticare uno scandaglio accurato rivolto a noi stessi e da quì al mondo esterno. Nella dispersione che ci rappresenta oggi, si avrebbe voglia di tanto e bisogno di nulla perché tutto muta irrefrenabilmente, da non darci il tempo di instaurare un rapporto affettivo con le cose che non sarebbero più cose nel momento in cui venissero riaffrontate dalla prospettiva dell'interiorità in grado di espandere calore e avvicinare ciò che è altro e distante.

Questa è la società dell'anonimato e qui anche il concetto di casa viene ad essere sfilacciato, fino a perdere quella poeticità primitiva o archetipica che risuona in noi alle note di ricordi antichi. Ci affezioniamo a ciò che è trascorso e ormai siglato dall'episodio dell'addio e da qui riposto nelle cantine dell’anima dove ritroviamo la nostra pace e quel filo intessuto con la vita, che nel presente temiamo di aver perduto. Il luogo come casa e patria dimora nelle fiabe della nostra infanzia costellata di aneddoti, che sentiamo non appartenerci più perché invorticati nelle faccende legate al quotidiano, non abbiamo tempo per occuparci del privato, né di accudire la nostra intimità sempre più ridimensionata e riposta ai margini dell'esistenza. I luoghi pertanto non ci parlano più e non lasciano filtrare la nostra identità, chi siamo e le realtà per cui lottiamo. La sprovincializzazione a cui tutti abbiamo chinato il capo porta alla concezione di un'urbanità in cui tutto è pensato a contenere ma non ad abbracciare. La ripetitività dei modelli architettonici cubici o parallelepipeidali ripropone forme scarne e anaffettive in cui stare ma non dimorare, mentre sempre più prende piede nel verde pubblico l'incuria. Dove l'uomo non lascia impronte invasive , la Natura permane nella sua dimensione selvatica e di inabitabilità in base a quelle che sono le esigenze dell'uomo di oggi. Le comodità della vita odierna ci hanno portati a concepire ogni luogo secondo i parametri di domesticità in cui i confort prevalgono sulla naturalità in cui trovano ospitalità le varie forme viventi.

È da queste basi che prende vita la necessità di dedicarsi alla fotografia antropica che non esprime la ricerca di usi e costumi dei popoli, di pertinenza dell'etnofotografia, bensì la volontà di riscoprire l'uomo in rapporto a quanto lasciato immutato delle peculiarità paesagistiche di un luogo. La cultura invasiva umana ha di fatto permesso all'uomo di estendere il suo dominio psichico anche nell'ambiente popolato di proprie vite, proiettandovi le sue realtà. Al contrario, con la fotografia antropica succede che l'uomo si senta arricchito da quanto mostra il paesaggio che grazie alla macchina fotografica viene carpito nella sua spiritualità e trasferito agli altri. Avviene così che sia il paesaggio a lasciar parlare l'uomo, portandolo a riscoprire quel bagaglio di memorie sommesse e represse che possano farlo sentire più di un individuo occupante un suolo, un uomo vero e proprio sensibile alla condivisione.

Di luoghi carismatici nella nostra bella Italia ce ne sono ancora tanti e i più affascinanti sono proprio nelle aree confinanti i grossi centri industriali del Nord.

Uno dei fotografi interessato a questo genere di fotografia pregna di comunicativa è senz'altro Claudio Scandelli, cremasco residente da anni a Montodine. Egli presta ascolto e dà voce attraverso le immagini alle zone a lui più care. La terra di Crema che dà il nome alla sua raccolta di fotografie sa mostrare ancora volti di un’autenticità straordinaria, nonostante risulti vicina al triangolo industriale più importante d'Italia e tra le aree più importanti d'Europa. Quando si parla di Lombardia ci vengono in mente le industrie e lo smog, paesaggi grigi reinventati dall'uomo e dal forte impatto sulla Natura. I giovani di oggi legano la nebbia lombarda allo smog e non sanno che invece la nebbia è lì parte integrante di un paesaggio che si racconta tramite le velature incespicanti che ritagliano fazzoletti di leggerezza sui campi coltivati. La nebbia lì è così e più che altrove deposita nell'anima un sentore di magia e di vago.

Claudio è uno dei pochi che ancora oggi si rivolge alla nebbia e all'indefinito che essa descrive, per riuscire a leggere in se stesso. Lui in quei luoghi ritorna a casa. Con essi instaura un clima di empatica fratellanza che gli è impossibile ritrovare nell'ambiente urbano in cui tutto passa e non lascia solchi di profonda bellezza. Claudio, per nulla avvezzo alla fotografia moderna, concepita secondo l'utilizzo di filtri snaturanti, utilizza la sua macchina fotografica come un microfono tramite cui dare voce agli alberi, ai fossi e agli aspetti climatici dei luoghi e della sua Crema a cui è rimasto felicemente legato.

Gli scorci padani rimbalzano agli occhi nella loro vastità tenuta a freno solo in apparenza dalla fitta nebbia che se da un lato sembra comprimere, dall'altro paradossalmente rivela all'animo che sa ancora nutrirsi dell'incanto della natura, quel senso d’inarrivabilità che ha nutre da sempre i poeti più sensibili e in ultimo su scala temporale, la lirica primo Novecento. Dalla nebbia che ovatta e lascia rivelare l'indistinto ci vengono incontro le antiche figure di patriarchi, gli alberi dai nodosi tronchi, pilastri secolari di una narrazione che ancora sopravvive e lancia moniti all'uomo moderno. Sono vere e proprie sculture che sembrano avanzare nell'indistinto che appartiene a loro e nutre lo sguardo di chi si sente solo tra gli uomini, ma non nel santuario della Natura.

Nelle foto di Claudio respira quel senso di sacra riverenza verso l'intramontato a cui partecipano i rari esempi di presenza umana rappresentati da lampioni e strade asfaltate deserte che appaiono risucchiati dalla dimensione agreste, fino ad essere assorbiti per diventare parte integrante dell'arredo agreste o boschivo. La nebbia è poesia e stordimento del silenzio che si fa pesante e leggero al contempo, mentre deterge i campi e sembra proteggerli. C'è poesia e contemplazione negli alberi ritti e imbiancati, mai soffocati dal manto di neve. Delirio ed estasi nella successione di fitti tronchi che esulano dalla visione eremitica del quadro bianco in cui gli alberi appaiono cavalieri solitari nella steppa invernale. Il campanile di lato omaggia con la sua poesia la tradizione, custode sacro di contenuti da tramandare, non propriamente legati a date storiche altisonanti, ma celebrazioni del piccolo quotidiano di cui è fatta la vita dei semplici.
C'è mistero e quel senso di insaziabile enigma che divampa ancora negli animi trasognanti di chi si scopre in viaggio nell'immobilità dei paesaggi tutti sottilmente diversi nelle loro iconiche e minimali apparizioni. Spoglie di ogni autentico lirismo, appaiono invece in chi è ormai straniero nella patria Natura. Gli uomini nella loro distante piccolezza sono figure che debordano dalle inquadrature accennando al reale. Come le sagome delle opere di Magritte, risultano svuotati dei contenuti conosciuti per ritrovarsi in una profusa armonia con la Natura. Vien voglia pertanto di chiedersi, tuffando lo sguardo nelle fotografie cariche di sacro onirismo e mai di spoglio esistenzialismo di Claudio Scandelli, chi sia il vero sconosciuto, lo straniero che ritroviamo nel celebre romanzo novecentesco di Camus, se l'uomo o i baluardi di alberi che da orizzonti improbabili sembrano venire incontro allo spettatore.

La Natura è magia da ammirare e scoprire. Attraverso la lente degli agenti atmosferici, un luogo potrebbe anche risultare piatto, ma maculato di gocce di pioggia acquisisce un'altra luce che lo rende all"istante dotato di fascino metafisico. Il Realismo Fantastico bacia il Surrealismo nelle opere fotografiche di Claudio, lacerando l'abitudine che procura una mortificante assuefazione.

Che cosa è il mito se non riconsiderazione dei segmenti più elementari della conoscenza riproposti secondo la logica dello spirito? Il minimalismo è alla base di una nuova letteratura dell'ambiente tracciata dagli alberi che si elevano al cielo e sembrano tracciare con i loro fitti ed esili rami geroglifici che bruceranno le sfere del tempo. E lì dove l'immagine esulta, Claudio interviene abbinando versi sgorgati dall'acqua o poesie di autori conosciuti, a espandere il senso dei paesaggi.

Nella semplicità è la vera grandezza, suggeriscono sommessamente le fotografie di Claudio Scandelli, asservendo lo stato naturale e la luce serena di quei luoghi, che buca gli sfondi del cielo color seppia, nutrendoci di nuove aspettative e regalandoci un profondo senso di pace. È come se i paesaggi divenissero visioni, suggerendoci quanto sia ancora possibile in una società armata di parole vuote e cieca, meravigliarsi di ciò che all'uomo mediocre appare come nullità. Che quindi la vera cecità, come ricorda il romanziere Saramago nella sua opera, è l'assenza di una prospettiva interiore.

 

Ippolita Sicoli
Ippolita Sicoli