Nella semplicità perduta delle cose. Il chiaro invito di Mirko Alivernini nel suo corto ''Una mano dall'Alto''
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Nella semplicità perduta delle cose. Il chiaro invito di Mirko Alivernini nel suo corto ''Una mano dall'Alto''

Tutto ha un canto e il canto è all'origine delle immagini. È il fiato degli astri che muovono il cielo, ed il ruscello della vita che sgorga da ogni anima.


Ci sono canti e canzoni. Il canto è legato alla parola incanto non solo per suono e radice etimologica, ma e soprattutto per la capacità intrinseca di esprimere la bellezza e i suoni attraverso le ferite che lasciano sanguinare l'anima. Come scrisse il grande Hesse, tutto ciò che ci penetra e attraversa unito alla bellezza, schiude ferite nel cuore e da' voce a istanti sfolgoranti.

Oggi come oggi la bellezza è accostata al non senso e pertanto a qualcosa di costruito e di non autentico, incapace di segnare. Abbiamo perso il valore compiuto della bellezza che non può prescindere da quello del Sacro. Cosi’ pure nel Cinema. La capacità di travolgere e sconvolgere prerogativa fondante del Cinema neorelistico di Rossellini che traeva spunto dal fatto, per condurre un discorso che da qui s'internasse nelle caverne dell'anima in cui tradursi in domande, ha perso il suo campo di ascolto. Oggi il Cinema si traduce in un racconto scarno ed incompiuto, avulso da visioni e letture di critica sul mondo e sulla Bellezza. In questa realtà trova giustificazione chi come Sorrentino ha voluto urlare attraverso il suo La grande bellezza la decadenza odierna.

Un discorso a parte è il modo di fare cinema, di viverlo e di porgerlo agli altri, del regista e sceneggiatore Mirko Alivernini che nella folla di registi affezionati ai cliché che producono incassi, e’ la persona vera, capace di comunicare in modo indipendente e autorevole i contenuti da lui creati e trasposti. Mirko è l’autore intenzionato a porgere con delicatezza un'altra visione della realtà partendo da ciò che riteniamo ordinario. È immerso nella vita ma con lo sguardo di chi riesce a captare gli elementi di salvezza che colpiscono lo sguardo non solo esteriore e schiudono a una dimensione di sacralità.

Che cos'è il Sacro se non la capacità di saper cogliere un filo sottile che unisce le cose accomunate dalla loro specifica semplicità?

Conosciuto come un regista avanguardista per l'utilizzo nella realizzazione dei suoi film della tecnologia digitale di ultima generazione, Mirko sa sorprendere chiunque si aspetti da lui effetti speciali a raffica e figure mostruose elaborate dalla realtà virtuale che sempre più governa il cinema stile sala giochi. Mirko no, non cerca la ridondanza. Egli è mite e discreto e ama tuffarsi nelle cose alla ricerca di quella luce primigenia che ancora sopravvive, nonostante le sedimentazioni artificiali operate dall'uomo. Il suo è uno stile genuino, che riflette la sua visione organica e dinamica del tutto, capace di rallentare il pensiero, invitandolo a riposare sui particolari di una realtà che per distrazione e superficialità non vogliamo cogliere nella sua organicità. Nella frenesia del mondo alcuni dei suoi lavori sono panchine lavorate in ferro battuto e situate sulle sponde di un ruscello che va e si apre una via nel rigoglioso e verde mondo. Invitano a sedersi per gustare, a chinarsi per ricondursi con profonda umiltà, al cuore delle cose. A spogliarsi di tutti gli strati per lasciarsi non stordire, bensì distogliere al fine di abbracciare il senso dell'Immenso che è insito nelle piccole cose. La sua è una poetica come già prima enunciato, figlia del Sacro che non regna nell'altrove ma è qui presente e dall'Alto per questa via si ricongiunge a noi. Pertanto è Immanentismo e Trascendentale insieme, naturalismo fantastico e simbolismo perché il Sacro parla un linguaggio suo che solo chi è in armonia col senso profondo delle cose è disposto a comprendere.

“Una mano dall'alto" parte dall'invisibile per collocarsi con una sua forma nel cuore di chi sa coglierlo. E’ un corto che è recupero dell'organico spirito che ancora anima determinati individui definibili nell'anonimità che ci disperde, persone. È nella sacralità dei semplici la risonanza dell'Alto e pertanto il termine persona non può essere per tutti.

Uno splendido Luigi Converso che interpreta la figura di un clochard racchiude la luce di un'umanità arcaica che non si è ancora estinta. La sua persona ha qualcosa di ancestrale, sottolineato dalle riprese lente che conferiscono quella ieratica parvenza in contrasto col mondo di anonimi individui. È un albero dalle forti radici ancorate alla terra, una scultura vivente che trattiene il flusso spirituale della vera umanità che non conosce confini spaziotemporali, e di cui si fa interprete.

Il clochard racchiude esperienze e conoscenze raccolte da miriadi di libri. Ogni sua espressione è pagina di vita vergata dal sole e dalla pioggia. Il suo sguardo rasserenante è il cammino lento delle nubi che si affacciano sul cielo primaverile. È degno di rispetto ed evoca rispetto lasciando senza fiato in un mondo che penosamente è lontano da tutto questo.

La riverenza per l'antico passa attraverso l'omaggio alle anime che ci appartengono nonostante il corpo abbia ceduto. C'è una storia personale in ogni storia di vita e lui la lascia brillare sui vetri di una realtà angosciata dal timore della morte, un aleggiante fantasma che non fa evaporare l'anima di chi abbiamo amato. La rosa che lui deposita sulla tomba della moglie profuma di una presenza che non potrà estinguersi. La luna è un faro che guida dall'Alto nella profusione del tutto che conduce chi ha l'anima in cammino legata alla radice delle cose. Le nuvole che velano leggere la luna esaltano la stabilità del Cielo, nonostante le movenze febbrili che lo conducono dall'interno, insegnandoci, profumandoci di lui.

  

Ippolita Sicoli
Ippolita Sicoli