Il fuoco della creatività che caratterizza tutti in modo più o meno accentuato, plasma la nostra realtà interiore attraverso la luce che inventa e ordina il Reale. Il Mito racconta attraverso l'eroico lavoro dei suoi protagonisti il processo creativo che avviene, espresso con l'ingegno creativo oggi sedato dall'appiattimento immaginativo e onirico a cui siamo tutti sottoposti. La pittura che si esprime attraverso i colori, strumenti di luce, raramente riconduce al fuoco primordiale che ci rende umani e divini al contempo. L'arte sposa il Mito, e la pittura libera ridispone il Simbolo nel Presente salvandolo dalle contingenti manipolazioni che cercano di ridurlo a profana icona. Tra coloro che attraverso la pittura riportano all'attenzione del presente il Mito e il suo bagaglio archetipico c'è Massimo Livadiotti il quale, attraverso la sua genialità creativa, conduce un'operazione di avvicinamento dell'individuo alla coscienza del Mito tesa a preservarlo dalla confusione visiva.
Nato in Libia da genitori italiani e trapiantato da giovanissimo a Roma dove tuttora vive, è riuscito a preservare in modo cristallino il suo genio espressivo, nonostante il forte imprinting dell'Accademia, imponendosi a un pubblico profano e di critici. Il nitore dei personaggi che sporgono dal marasma onirico e tumultuoso dello sfondo, rievoca il legame oggi fragile con la cultura ancestrale e animica. I soggetti ritratti in posizioni classicheggianti tracciano movimenti di danza ricostruendo l'arcano percorso del sogno che imprime i suoi passi nel Cosmo, qui concretizzandosi.
Maestro, ascoltando i giovani e non solo, si ha la percezione che la società odierna abbia perso il confronto col Mito. Cosa ne pensa a riguardo?
“Sicuramente non c'è un confronto col Mito perché il Mito oggi non è avvertito, in quanto considerato privo di senso. Si parla di mito oggi, in rapporto a persone con una diffusa celebrità come calciatori, attori...”
La sua non e’ solo una pittura che incanta per forme e bellezza, si avverte la presenza di un messaggio all'interno. E’ così?
“Esattamente. Io attraverso la mia arte cerco di mettere ordine all'interno dell'immaginario delle persone, e in questo le mie opere assumono significato e si permeano di Simbolismo. In un certo senso sento la responsabilità di una missione.”
Si avverte attraverso la fruizione delle sue opere la necessità di ricondursi alla centralità di Dio attraverso la sacralità del Simbolo. L'Episodio della Caduta dell'uomo alla periferia del Cosmo è per lei un tema centrale?
“Io non intendo attraverso le mie opere ricucire lo strappo raccontato con l'episodio della Caduta, ma ricondurre il fruitore con la contemplazione al senso della Bellezza che fino a centocinquant'anni fa era considerata il sacro riflesso della Natura. Oggigiorno, con l'avvento della globalizzazione la confusione ha investito tutti i campi, non ultimo quello visivo, delle immagini.”
Tutti siamo ammessi alla contemplazione della Bellezza?
“La Bellezza la incontriamo ovunque, ma occorre avere uno sguardo educato ad essa per saperla cogliere. Quando camminiamo, passeggiamo... dobbiamo essere pronti a coglierla, perché essa si presenta a noi come rivelazione.”
Lei, maestro Lavidiotti, ha prima menzionato la Globalizzazione. Esiste per lei un nesso tra il Movimento sessantottino e l'attuale fenomeno sociale?
“Io sono nato nel 1959 e nel ‘68 ero troppo piccolo per esprimere giudizi. L'idea che in seguito mi sono fatta è di una grande opera di manipolazione di massa servita a distruggere la borghesia e a consentire l'affermazione del Capitalismo, cosa che è poi avvenuta.”
La sua è una pittura che colpisce per la sua particolarità e la forza evocatrice che emana, e la differenzia dai comuni pittori usciti come lei dall'Accademia. Quanto ha inciso la sua formazione accademica nella sua arte?
“Gli anni dell'Accademia per me sono stati distruttivi in quanto le Accademie di Belle Arti in Italia sono istituzioni morte. Si salvano forse solo quelle situate nelle province per l'impegno dei docenti a farle funzionare. L'Accademia di Roma versava in condizioni disastrose e per questo mi considero un autodidatta. Differisco sicuramente dagli altri allievi che si sentono artisti già prima di entrare, manipolati dalla cultura capitalista globalista che mette a disposizione loro sempre nuovi strumenti che li allontanano dai canoni della Bellezza in passato perseguiti. La definizione di artista dovrebbe seguire al percorso di studi accademici e spetterebbe alla società come riconoscimento alle opere eseguite.”
Ritornando alle sue opere, si avverte un richiamo alla pittura di Dalí per alcuni versi e soprattutto alla Metafisica di De Chirico. Vero?
“Sì. A proposito di De Chirico a lui è legata la prima fase della mia pittura, quando arrivato a Roma ammiravo la sua sontuosita', i suoi palazzi. De Chirico mi ha fornito la chiave per entrare nella realtà che ammiravo, e per decifrarla. Roma mi ha fornito un confronto diretto con i simboli in quanto ne è piena.”
Oltre a De Chirico quale altro maestro l'ha influenzata?
“Sicuramente al fratello, Alberto Savinio, devo l'intuizione. Al primo il linguaggio. Quella fase l'ho completamente superata ma non la rinnego.”
Pensa che potrebbe ritornare la pittura Metafisica in futuro?
“Non lo escludo. C'è già stato un recupero dei valori estetici della metafisica con l'avvento del Postmoderno negli anni 80'”
Quanta Libia le è rimasta dentro?
“Poca, davvero poca al di là di foto e racconti. L'unico elemento che mi porto dentro e mi ricollega a lei è la mia nascita sotto una palma.”
Anche la nascita si compie con un'immagine e attraverso le immagini moriamo e rinasciamo. È proprio qui la Bellezza dell'arte, in questa consapevolezza che , matura, ci sorprende nelle forme più impensabili e ci fa ben sperare nella ricchezza dell'umanità futura. Risorgerà dalle ceneri di quella presente? Forse, in quanto i Miti vanno al di là della logica della distruzione e parlano all'anima ancora in grado di recepirli come un'eco che giunge da un lontano orizzonte, da oltre il mare delle nostre vicende umane.