È un grave errore considerare il simbolo appannaggio esclusivo di una religione
I simboli sono universali e per questo godono di libera lettura interpretativa. Legare la croce, lo svastika o l'uroboro, giusto per fare degli esempi indicativi, a un dato movimento culturale o religioso, quindi contestualizzarli nell'ambito di una civiltà, significa compiere un'azione di snaturamento del simbolo stesso, che va a incidere negativamente sull'energia che sprigiona il simbolo in questione. Non dimentichiamo che il simbolo non è razionalizzabile e l'interpretazione che di esso forniamo non può che essere parziale.
Le religioni sono sintesi di un costrutto socioculturale e servono a incanalare l'energia in determinate direzioni. Il simbolo per sua natura è avulso da certi meccanismi di orientamento e l'ideologia specifica non può che ucciderne il senso. Gli estremismi ideologici hanno tratto potere dal tentativo di manipolazione dei simboli che rivendicano la loro autonomia, affermandosi sul piano socio politico come strumenti di uno scontro distruttivo (ad esempio la svastika nazista). Le finalità di potere esercitate attraverso il controllo sui simboli, hanno sempre determinato la crisi di un'epoca caratterizzata da un'ideologia spaziale che ha coinvolto gli ambiti più intimi dell'essere umano e non in ultimo il rapporto con la fede, stravolgendolo in istituzione. Non dimentichiamo che il simbolo (non a caso dal greco: ciò che unisce) è il ponte energetico che relaziona l'uomo all'Assoluto. Esso trae ispirazione dalla tradizione primordiale dalla quale sono discese tutte le scuole iniziatiche, per riportare l'essere alla condizione spirituale dell'uomo archetipico centrato nella Luce.