Siamo tutti un po’ consapevoli che l'arte oggigiorno sta attraversando una fase critica che per i sostenitori del movimento New Age si risolvera’ con l'assetto di nuovi equilibri psichici che inciderà sull'avvio di una nuova fioritura della civiltà umana, riproponendo una nuova Età dell'Oro.
Guardando verso il remoto passato incontriamo spesso riferimenti a quest’eta’ mitica contrassegnata da una rilevante attenzione nei confronti della mitologia e del segreto quanto luminoso empireo popolato da creature semi o del tutto divine. Ogni Età dell'Oro che si contempli, è stata preceduta da una caduta della civiltà umana contraddistinta da un forte imprinting esercitato dalle energie basse degli individui il quale, tradotto in termini concreti, ha portato all’annichilimento dell’anima e delle sue espressioni più alte.
La manipolazione forzata della natura e il conseguente asservimento della stessa alle esigenze umane, sta tracciando oggigiorno un grafico della civiltà mai osservato in precedenza. Ogni epoca ha avuto le sue criticità, ma lo snaturamento dalle radici culturali sta portando questa umanità alla deriva di sé stessa, formulando comportamenti che di autentico non hanno più nulla, né tanto meno di ancestrale nel suo significato più puro. Tale fenomeno di decadenza e straniamento riguarda pressoché l'umanità globale, ed e’ di una portata tale che gli antropologi s’interrogano sul significato odierno dei simboli e ancor più sulla validità del concetto di archetipo.
Non pochi i filosofi esistenzialisti contemporanei che gridano al superamento dei fondamenti della psicanalisi iunghiana, appellandosi a nuove pseudoteorie che dal fantascientifico approdano a un esoterico circense, farcito di sette eretiche, che di ritualistico, nonché di sacro, non indossano neanche il nome . Recuperando quanto ha asserito l’antropologo e mitologo J. Campbell in merito alle civiltà metropolitane, il termine archetipo non può essere archiviato. La crisi dell'odierna civiltà sta affondando i valori portanti della cultura umana e con essi il corredo d'immagini ancestrali che l'uomo ha nutrito per millenni.
Ciò non significa che gli archetipi giacciano oramai sepolti con gli antichi miti o vaneggino sul punto di diventare patrimonio archeologico della psiche che, per quanto si stia riprogrammando, dell’atavica memoria non potrà mai fare a meno. Cambiano i modelli, le immagini di riferimento, i simboli e il linguaggio ermetico tutto, ma gli archetipi in quanto tali non possono estinguersi. Il rinnovamento della memoria ancestrale però, sta introducendo nuovi alfabeti ai quali la psiche e il sottobosco dell'inconscio si stanno adeguando.
Ne consegue che stiamo perdendo dimestichezza con quello che è il linguaggio nascosto, espresso in simboli e la capacità di interpretare correttamente e decodificare il patrimonio del nostro immaginario. Se le strutture che lo caratterizzano sono ancora solide, è cambiato l'alfabeto che parla direttamente all'anima attraverso i canali della percezione visiva, ed è così che siamo giunti al paradosso di non saper discernere ciò che è sacro da ciò che è profano, col rischio di perdere buone fette del nostro patrimonio d'origine espresso attraverso il linguaggio di mascheroni o maschere apotropaiche, o di incontrare enormi difficolta’ nel decifrare i non a caso chiamati crittogrammi.
Espresso in questi termini il problema non mostra la sua criticità, ma nel momento in cui sul frontone di un castello diamo una lettura errata di un simbolo, finendo per attribuirlo ai Rosacroce, o se dinanzi a una maschera apotropaica che troneggia sul portale di una casa, siamo tentati di chiamare un esorcista, il problema esplode nella sua drammaticità. I rischi allora sono due. Il primo è quello d’inciampare in un'analisi errabonda di pezzi di storia, l'altro di affidarci a chiromanti e ciarlatani per scacciare le anime immonde che riteniamo occupino clandestinamente la nostra dimora.
Dall'uno e dall'altro caso si evince ancora una volta che in quest'epoca, nonostante l'informazione faccia passi da gigante, la vera cultura riposa alla radice dell'anima in attesa di una nuova primavera, o al contrario, di venire estirpata per sempre.