Dove andrei, in quale goccia di fremito mi rifugerei, se non ci fossi tu?
Mi piace uscire all'idea di ritornare a casa e trovarti lì la sera ad aspettarmi. La casa illuminata e parlante per la televisione accesa. So che qualcuno la abita e io abito nel suo cuore. È così quando c'è una madre. È la luce della casa che imbionda ogni cosa ci appartenga. Non so immaginarmi una vita senza di lei e se mi prostro in avanti nel futuro, vedo solo luoghi grigi e il mio luogo irriconoscibile, grigio e freddo.
La madre siamo noi. La casa che mormora preghiere. È la potenza dei giorni nel farsi ricordo. L'amarezza porta un sorriso e rivela nel tempo i suoi veri occhi. Ogni maschera cade diventando niente, come anche il destino del dolore. Tutto si spegne e ogni ritorno invece si fa intimità nel rientro in sé stessi, quando tutto nelle stanze tace e sibila fuori il lupo dell'inverno. Se fuori nevica e la casa splende della presenza della madre, il focolare è sempre acceso e ritornano presenti le sensazioni e i ricordi vaghi e caldi dell'infanzia. Se fuori c'è arsura, la casa è l'oasi verde che rigurgita di fresco bosco e della sorgente che canta senza mai soffocarsi.
È grazie alle madri se tutto scompare mentre la verginità delle cose care resta e si fa strada lontana dal tedioso male del mondo. È il suo volto che ci fa essere sul piano dell'eternità che è altro dall'infinito che fa perdurare i momenti sull'orizzonte del mondo. L'infinito è la linea dell'orizzonte senza pieghe né interruzioni che risolleverebbero lo sguardo dalla paralisi di lunghi giorni stremanti. L'eternità è il cuore di un momento che preserviamo in noi dalla fiamma che si spegne. È l'isola preziosa che torna a visitarci e che noi ringraziamo per salvarci dalla mestizia del nonsenso che, contagiando il nostro nido, lo divora.