La memoria nasce sull'ordine e l'ordine diventa memoria. Altrimenti, come potremmo tracciare il filo del nostro racconto? L'uomo del passato concepiva la storia come un inanellamento di azioni che avrebbero trovato posto nella narrazione.
Alla luce iniziale seguiva altra luce che irrorava i fatti sviluppando la capacità critica di analizzarli e misurarli. Nella narrazione lo storico si costruiva l'immagine di quanto accaduto che non sempre combaciava con il resoconto da trasmettere ai suoi e ai posteri.
L'immagine nel passato non era concepita per i conoscenti o i presenti ma, congiunta alla memoria, diventava documento di indiscussa legittimità e oggettività. Le due cose andavano insieme. I trucchi, gli aggiustamenti eseguiti al ritratto o applicati alla fotografia dovevano evidenziare i tratti distintivi più gradevoli dell'aspetto senza alterarli, o anche, conferire ulteriore autorevolezza a chi esercitava un ruolo pubblico importante. L'immagine era legata al ruolo che a sua volta di basava sulla sostanza lasciata emergere nelle sue qualità da una seria educazione.
Oggi non è più così. Le foto, i ritratti servono al soggetto stesso e non a chi guarda, a conferirgli o almeno a illuderlo di quell'autorevolezza e quel fattore di potenza che non è in grado di determinare e conquistarsi da solo. Complice di questa impossibilità è il disordine che avvolge le singole vite. Impedisce il giusto discernimento e di far luce sulla vera identità spesso rimasta nascosta. Ci nutriamo di immagini nostre e altrui e tutte ci sembrano uguali. Mamme che si divertono a fare le ragazzine sexy e bambini dall'aria di macho che tutto vorrebbero, fuorché diventare seduttori fuoriclasse. Ci atteggiamo a chi non siamo e poi ci lamentiamo dei fraintendimenti che scattano in chi guarda e vede.
Non c'è peggiore egocentrismo di chi esclude dalla propria immagine lo sguardo altrui e si autocelebra tramite selfie e quanto altro. È colpa del disordine se abbiamo perso chi siamo. È colpa della leggerezza che ci caratterizza se non indaghiamo la nostra identità. C'è uno scollamento tra immagine e sostanza. Anzi! C'era. Ormai non si può parlare di distanza o distacco perché sparita è l'immagine, morta è la sostanza.