Spesso, un simbolo o un mito o una storia popolare hanno un doppio significato, l'uno in opposizione all'altro, da lasciar emergere il dubbio che si trattino degli stessi o della stessa. Premetto che come per le abitazioni civili e religiose, anche il patrimonio popolare collettivo subisce stratificazioni connotative che vanno ad intaccarne le basi originarie.
Queste sovrastrutture purtuttavia lasciano emergere l'anima di simboli e storie che al di là dei loro rimaneggiamenti emerge nelle sue contraddizioni speculari. Queste non sono arbitrarie ma intrinseche e volute in quanto utili a salvaguardare la luce di simboli e di narrazioni che superficialmente vengono compresi da tutti, ma che colti nella loro essenza c'immettono nella necessità di preservarne l'essenza e di tramandarla. È in questa luce che va colto il tesoro nascosto in cantina o sotterrato che caratterizza molte antiche storie probabilmente riconducibili alla stessa origine.
Tra le immagini archetipiche che hanno un risvolto doppio c'è la torre dove dentro è imprigionata la principessa. La torre qui svolge la funzione di gabbia che ritroviamo ben espressa dalla figura capovolta della torre che è il pozzo. L'acqua, elemento primordiale in cui si identifica l'energia vitale della donna ha come corrispettivo al contrario la principessa. Ciò che è primitivo ha una sua regalità e su questo principio ha costruito il suo potere l'antica nobiltà terriera. L'acqua imprigionata nel pozzo rimanda alla morte. Imputridisce e ingoia la luna che rappresenta il tempo. Così la dolce principessa che isolata perde la sua regale bellezza e si trasforma in povera mendicante.
Tante storie e fiabe sono costruite su questo doppio filo. Il principe che diventa rospo, la bella principessa che è costretta a vivere nella grotta.
In realtà questo doppio risvolto è fondamentale al fine di riscattare i protagonisti dalle loro debolezze e di fare incontrare la loro identità che si converte in forza.
È quanto insegna il pozzo.
L'acqua tirata su dal secchio tramite la carrucola ritorna allo splendore della vita e della luce e salva l'intera comunità. La corda qui segue la direzione dal basso verso l'alto, mentre la fune che la principessa costruisce con i suoi vestiti ridotti a stracci segue la direzione opposta, dall'alto verso il basso. Il confronto con la morte è necessario al fine di cogliere il proprio valore. La principessa si salva e corona il suo sogno che è quello di sposare il principe. L'anima che nel buio ha visto se stessa, ha raggiunto la consapevolezza di sé e della propria individualità a cui segue l'acquisizione del due di preambolo al tre che è il concepimento di una nuova vita.
Non sempre la fine è positiva nell'uno e nell'altro caso. Il pozzo durante le guerre veniva avvelenato allo scopo di portare alla morte il villaggio. Così la principessa che a seconda del narratore, fugge o muore di stenti nella torre. Ad ogni modo, il lieto fine prevale ed è d'incoraggiamento nella vita. Quando il finale è triste, subentra all'uso antico dei cantastorie la spiegazione del narrante che risolleva l'animo agli ascoltatori.
Ho detto, come da tradizione, il lieto fine e non la lieta fine, non perché il primo sia la contrazione di finale, bensì perché "fine" si associa a "scopo". Tutte le storie antiche non sono storie passatempo, come invevce ci hanno inculcato con una cultura massiva che non tiene conto delle radici della spiritualità e dell'intrinseco finalismo invece recuperato e infuso nel respiro vitale del Romanticismo. La parola è trasalimento e trascendenza verso la luce. Da ciò deriva il moto di riscatto da una futile quotidianità, obiettivo primario della cultura ottocentesca e delle radici dell'uomo.