Gli alberi sono pettini che districano il crine delle nubi. Sentieri rovesciati in cielo e rigagnoli di luce che mai si prosciugano. Percorrono e descrivono centrini d'intimità spingendoci a carezzare, ad abitare oltre il cancello bianco delle visioni.
Cercando ci perdiamo, perdendoci ci ritroviamo. Nell'irraggiungibile scopriamo i nostri sogni.
Nella fantasia troviamo la nostra via.
È questo il massaggio del Cosmo. È questo il tempo dei suoi frutti maturi. Delle orme chiamate a seminare conforto sui campi nudi e incolti, dove passo d'uomo non ha ancora lasciato tracce. È il nuovo che arriva a confondere l'empio. A conferire all'ombra il suo getto di luce che la ritagli dalla pece. L'ombra è figlia della luce, come l'uomo è figlio del suo Creatore. "Luce" e "Padre" sono emanazioni dell'eterno nel tempo che grazie a loro si fa immortale.
Hombre, in spagnolo "uomo", rende l'idea dell'appartenenza alla luce, quale scintilla di vita, dell'uomo che nella forma interiore è simile alla sua fonte genitrice.
Che sia l'"Hombre" a cui è legata la parola "ombra", refrigerio del deserto e principio fertile della natura verginale, l'uomo da "hum" da cui "Humus" è colui che rese lo spazio senza tempo il luogo. Lo rese isola di luce "Paradiso" o delizioso giardino che gettava fiori e frutti. L'uomo, oggi dimenticato, era il riflesso e l'emissario della bellezza di Dio in tutte le forme. Era l'ombra della luce forte. Ora una macchia nera che combacia con la notte.
Foto di Marisa Pezzini