La Magia è speculiarità. La Magia solletica l'Arte che è elaborazione e rielaborazione di ciò che si osserva.
Se la Magia si esercita attraverso la Natura, l'Arte è discernimento della stessa. La Magia come l'Arte è osservazione rivisitata nell'ottica della completezza. Nel momento in cui è scansione e frammentazione del Tutto diviene conturbante metafora del Male che viene da essa esercitato.
Nei riti vudù la magia è esercitata per mezzo di un rituale dal quale attinge l'energia che verrà scaricata sul fantoccio rappresentativo. L'immagine nella Magia può essere sì artistica, ma in piena dissociazione dall'elevato principio della Bellezza. Tutto ciò che è Bello eleva all'ideale di perfezione che si esplica attraverso l'obbedienza nel pieno regime di osservanza a se stessi. Capiamo quindi, che nella Magia Nera in opposizione a quella Bianca costruttiva, all'ideale di Bellezza corrisponde l'orrido che va oltre il limite della censura dell'anima in rapporto al Brutto. Fondamentale è comprendere lo spirito di assoggettamento che avviene in relazione alla pratica magica nell'ambito dell'occultismo macabro in cui l'obbedienza a sé stessi diviene ubbidienza cieca alle forze del Male che s'impossessano di colui che presta servizio al rituale. In netta contrapposizione alla servile subordinazione troviamo la risposta stimolata dalla rappresentazione del Cristo morto e risorto e nello specifico del Crocifisso. L'urlo della morte sconfina nell'estasi che è comunione implicita tra chi osserva e l'oggetto contemplato, e diviene metafora del Passaggio. Il divenire è quindi percepito come porta di accesso al Paradiso, chiave della Redenzione che colpisce e travalica i confini materici.
Se il Paradiso è trasformazione nella Luce, l'inferno è prigionia nell'immobilità del presente.
Il macabro è altro rispetto al dolore. È assenza di ogni riferimento alle categorie dell'anima in cui la sofferenza è anch’essa Bellezza e la contempliamo attraverso noi stessi.