Parlo di questo oggi, della solitudine, perché è un argomento talmente vasto e suscettibile a raffronti soggettivi, da risultare sfuggente. E’ invisibile, eppure e’ l'origine di tanti mali che spesso uccidono il corpo oltre all’anima.

La solitudine e’ una condizione di abbandono totale al nulla inteso come vuoto incolmabile. Si raggiunge molto spesso dopo aver lottato tanto e a lungo nella ricerca di una propria realizzazione che è mancata, e al volo speso a rincorrere la chimera,è seguita una caduta abissale dalla quale non ci si rialza più. Le forze cedono, impiegate ad affrontare una vita che è persa dentro i soliti ingranaggi figli di un'abitudine straziante.
Non si può essere capiti se non da se stessi, e forse, chi non conoscerà mai la solitudine e’ proprio il solitario, colui che non intende aggiungere nulla alla propria vita condita di emozioni spirituali.
La nostra societa’ e’ malata di solitudine, perche’ g ia’ nell'infanzia siamo educati alla ricerca pressante degli altri, ubbidendo così a una subdola logica comandata dal denaro che ci fa credere in compagnia se partecipiamo a una socializzazione che ha i suoi costi e, subliminalmente, ci imposta sul principio che se non investì tempo ed energie nelle attività, resti solo. Per cui assistiamo a bambini che fanno di tutto oggi, fuorche’ studiare e alla fine si ritrovano calati in ruoli stimolati dalla paura di restare soli. Ruoli forzati, in cui molto spesso non si riconoscono e che servono per lo piu’ a determinare un clima distensivo in famiglia, maturato dalla convinzione che accettando e assecondando l'inclinazione suggerita dagli adulti, si venga accettati anche da chi ci ha messi al mondo.
Com’e’ complicata la vita oggi! E quanto e’ difficile dissipare la matassa della solitudine. Cosi’ intima eppure, tanto distante, da essere l’unica cosa individuabile in un marasma di generalizzazioni che ci sbalestra. La spinta alla socializzazione e’ una droga instillata lentamente a cui non tutti hanno la forza di sottrarsi volgendo l’attenzione all’umilta’ dell’essenza, l’unica via di ritorno a se stessi. Una societa’ sana e matura non lavora sulla socialità, bensi’ educa allo stare bene con se stessi, se impostata sull’accettazione frutto della conoscenza di chi si e’ davvero.
A che serve parlare di sviluppo e di garanzie sul lavoro se i nostri giovani muoiono di solitudine?
La parola "cambiamento" spesso abusata, reprime quel poco di umanità che ancora sopravvive aggrappata a fragili ideali che nella distorta logica progressista verranno spazzati via dalle insidie che minano la cultura della stabilità, oggi passata per retrograda.Abbiamo bisogno di calore, non di luoghi precostituiti in cui ammazzare il tempo, perche’oggi e’ il tempo a possederci, quando dovremmo essere noi a fare buon uso di uno strumento che non potra’ mai piu’ tornarci indietro.