
Nei miei articoli ho parlato spesso delle feste congiuntamente al loro primitivo valore che non è profano, bensì sacro. La festa ha difatti il compito di riportare l'uomo alla sua centralità che è Dio.
Nei miei articoli ho parlato spesso delle feste congiuntamente al loro primitivo valore che non è profano, bensì sacro. La festa ha difatti il compito di riportare l'uomo alla sua centralità che è Dio.
La bellezza la troviamo in ciò che è giusto e a cui non sempre forniamo una spiegazione. Allora potremmo dire che la giustizia è quanto si compie e basta a giustificare il passaggio su questa terra. Questo principio apre alla percezione del Sacro, ben altro dal sentimento di fede.
Associamo l'autunno alla verità, a tutto ciò che si mostra denudandosi del suo corredo di effetti che sorprendono ma illudono. Il legame con la terra ripristina quanto interrotto durante l'estate e ci porta a riscoprire quella sacralità alla base dei rapporti umani, scalzata in estate dallo spirito di evasione.
Sulle punte e il loro significato ci sarebbe molto da dire. Sono difatti la dimostrazione di quanto un simbolo nato con riferimenti positivi, subisca manipolazioni successive che ne screditano i contenuti. A questo va aggiunta l'azione protettiva contro la profanità, tesa a preservare la luce iniziatica di ogni simbolo.
Se fossimo tutti un po' più solitari... spesso si valuta una persona dal numero di individui che frequenta. Si cerca la visibilità a tutti i costi per colmare i vuoti e spesso lo scotto da pagare lascia fiaccati.
L'Autunno è la stagione in cui le corazze cedono e la roccia mostra la sua friabilità denudandosi nelle notti cieche. Il silenzio si fa tempesta assordante che spinge a cercare lontano, altre vedute a cui conferire profondità.
È dell'Estetismo innalzare la bellezza a valore supremo in una realtà che avverte la latitanza delle radici. È quanto avviene sul finire dell'Ottocento sovrapponendosi dapprima e poi trionfando sulla corona di valori espressa e inneggiata dal Romanticismo.
L'apparenza ormai è donna. Nel cunicolo cieco in cui siamo sprofondati, la donna ha tremendamente oltraggiato se stessa, accettatando di reinventarsi attraverso le stravaganti esibizioni che la richiamano sul palco di chi è in cerca di celebrità.
La poesia è nelle piccole cose che ci sorprendono e sembrano essere lì per noi. Ci richiamano dai nostri recessi segreti aiutandoci a comparire.
La casa è la verità che uno ha dentro. Apparteniamo tutti a qualcosa e questo qualcosa o meglio, qualcuno, ci apre alla vita. Nasciamo secondo un progetto che parte da molto lontano e che viene instillato in ciascuno di noi.
Io ti salvo e tu salvi me. La reciprocità è sulla base di un riflesso che rimbalza ad ogni azione che compiamo e su questo processo si fondava la letteratura popolare. La reciprocità non ha nulla di preconfezionato, è emanazione della semplicità del cuore. La reciprocità è l'istante che fiorisce tra due persone e le unisce.
Quanto ci appare lontano e nel cielo profondo, è in realtà presente e offre alla percezione umana l'evidenza del Sacro con in più il risveglio dell'immaginazione.
La leggerezza è un soffio di vento che ci attraversa, è un paio d'ali che si siede sul davanzale e intona un canto a cui non restiamo sordi.
A rivelare chi siamo non sono solo le azioni ma anche il modo in cui agiamo. È così che si giunge alla verità. La creatività è nel modo in cui portiamo a frutto il nostro impegno che si trasforma in virtù.
Saper svolgere appieno e al meglio il proprio compito a cui si è chiamati è un dono che riporta ogni essere a Dio e che unifica terra e cielo. Gli antichi più di noi davano peso all'impegno infuso in ogni opera, dalla più semplice e quotidiana alle più grandi, divenute vere e proprie testimonianze di eccellenza per tutti noi.
La percezione di sacralità è insita nell'uomo e va coltivata. Per questa via si traduce quindi in sentimento. La sacralità cresce nell'uomo parimenti alle sue abilità. È curioso come l'homo sapiens a differenza dell'uomo tecnologico, quanto più acquisisce coscienza del proprio posto nel mondo, tanto più va scoprendo tracce di Dio, sottoforma di presenza del sacro intorno a sé.
"Ara" è una delle parole antiche composte di tre lettere che rimandano alla geometria del triangolo. L'Ara è l'antico altare di pietra che riproduce la rappresentazione del dolmen ma, a differenza dell'altare di moderna intuizione e costruzione, i pilastri sono di pietra non lavorata e rasenti il terreno.
Le grandi Festività cristiane sono il Natale e la Pasqua. Le feste che ritroviamo nel resto dell'anno traggono ispirazione dal mondo pagano che ci ha influenzato da più provenienze.
Nell'opera "La Primavera" Botticelli esprime il ricongiungimento alla terra e alla Natura. Le ninfe presenti nella loro trasparenza suggeriscono, in quanto vergini, una condizione di passaggio in cui tutto è combinato insieme secondo comunque una logica di ordine.
I tuoni lontani ci porgono l'eco di chi fa sentire la sua voce e ci ricorda che non siamo soli. Il fulmine è la spada che trafigge il suolo ricordandoci la presenza imperante di una grandezza che ci rende piccoli, salvaguardando il tesoro nascosto della tenerezza.
Il dentro è un luogo a sé. Dietro ogni ricordo c'è l'amore o la sua assenza. A eccezione di qualche caso, e sono proprio le eccezioni a far brillare il mondo nell'uno o nell'altro verso, siamo ciò che abbiamo ricevuto.
I riflessi ci aiutano a leggere e interpretare la realtà per farci raggiungere il culmine della verità. I riflessi sono propaggini in molti casi divenuti parti complementari altrimenti mancanti e che ritroviamo nel gioco di simmetrie.
Se c'è una condizione che ha solleticato la fantasia dei nostri predecessori, questa è l'emozione scaturita dall'osservazione attraverso la fessura. Attraverso porte e finestre mal accostate, fenditure di luce che trapassano gli usci, gli antichi pervenivano alla conoscenza di segreti e realtà nuove che mettevano radici nella fantasia più torbida e libidinosa.
Ad esprimere l'alternanza attività riposo nel ciclo vitale è per gli antichi un animale diffuso nelle aree a clima temperato e solito andare in letargo ad ogni inverno. L'animale in questione è il ghiro, dalla radice "gl" (in latino "ghiro" si dice "glis-is") che abbiamo già incontrato a proposito di "ghirlanda".
Il suono "sc" che ritroviamo in strascico e in strisciare, ci conduce a un effetto di prolungamento indotto dagli elementi presenti in natura, come l'acqua e l'aria ma anche il nostro finio dell'erba contro il suolo con gli animali selvatici senza zampe come i serpenti.
Proprio in quanto Gesù fa riferimento al Regno dei Cieli, il Platonismo trova una motivata integrazione col Pensiero Cristico. Platone apre di fatto nell'antichità greca a una visione diversa del cielo rispetto a tutte le visioni teologiche a lui contemporanee e precedenti.
Solitamente attribuiamo l'origine etimologica del termine "calice" al greco "Kalupto: nascondere" e non al latino "calo is: chiamare". In realtà, entrambe le derivazioni sono vere e complementari e riconducono al significato vero di "calice" che, come abbiamo detto precedentemente, acquista valore con l'episodio dell'Ultima Cena di introduzione alla Passione di Cristo.
Gli altri ispirano e insegnano. Basta avere orecchi. È quanto il cerchio è riuscito a insegnare e a trasmettere nei millenni. La cultura del cerchio trae ispirazione dal mettere al centro, dalla condivisione a cui ognuno coopera anche semplicemente presenziando.
L'empatia è essere uniti in un luogo inesistente e provarne le stesse voci. Noi siamo l'unione e il mezzo. Il già sentito e non ancora decifrato che in un istante si palesa. È questo sentire la voce degli altri che ci fa percepire l'antico e innato presente in noi.
L'autunno è un inno al cielo e alla luce. È l'inizio di un compimento. È un voltare pagina rispetto all'estate. Le pozze d'acqua sono specchi che il cammino nei giorni ci dona attraverso cui poter rimirare il cielo e accorgerci della sua vicinanza.
L'autunno è la stagione della frutta secca e delle bacche, frutti duri e legnosi che ricordano i bastoni, da qui l'etimologia di bacca in comune con "Bacco". "Bastone", "Bacco", "bacca" e "battere" hanno difatti la stessa radice etimologica e la bacca proprio perché cadendo emana un suono, è considerata frutto di buon augurio.
È delle stagioni equinoziali la proiezione in orizzontale del mondo. Il cielo e la terra si profondono l'uno nell'altra divenendo un'unica cosa pur rimanendo realtà distinte. È quanto succede nell'amore le cui specifiche divinità ne diventano trasporto e immagine.
La parola "raggio" deriva dalla radice sanscrita "kirana" composta di tre sillabe col significato di "raggio di luce". La sillaba centrale ci riguarda da vicino e la ritroviamo nel nome del dio sole egizio "Ra"
L'autunno è la stagione della perdita di quanto si credeva eterno e della riconquista nel cuore di quanto è vero e indispensabile a noi e alla nostra sostanza interiore. Ci spogliamo del diverso per assaporare chi siamo con un gusto nuovo.
La parola pizzo deriva dal latino "pictus: dipinto, ornato" che a sua volta ritroviamo nell'anglofono "picture" e nel nostro "pittura." Non ha nulla a che vedere col termine dialettale siciliano "pizzo" col significato di "mettere nel becco" associato all'attività estorsiva.
Associamo il bianco al colore della luce. In realtà la luce è la somma brillante di tutti i colori come del resto il bianco ma anziché a quest'ultimo, attribuiamo la luce al colore giallo tramite il riferimento al sole.
L'umanità di oggi manca di intensità. Ci siamo fatti poveri di sostanza e non proviamo, né mettiamo passione in nulla. Tutto è fatto per mostrare e ostentare ciò di cui siamo pieni: boria e vuoto. Le case sono diventate dormitori che non offrono nulla e spaventano per la freddezza chi vi entrasse.
E assaporo la polifonia dei tuoni all'eco delle montagne. Nell'aria ci disperdiamo così come anche ci ritroviamo. È negli urti che lo sparpagliamento porge la sua voce.
Anche il sole ha i suoi momenti, segue un ciclo oscuro per noi ancora, di irrequietezza e un ritmo proprio a tutt'oggi misterioso.
La totalità nel senso di unità e completezza la raggiungiamo attraverso il capovolgimento dei mondi che esclude ogni sfuggenza o mancanza. Se oggi consideriamo l'abbondanza in riferimento alla farcitura del nulla, un tempo era da intendersi come ricerca della primordiale integrità perduta.
Nel fumo cogliamo forme che non esistono. Nella dissolvenza che si eleva e scompare incontriamo sotto forma di immagini aspetti di noi che solitamente non consideriamo. Il fumo che si dissolve, ci lascia qualcosa di sottile e inebriante.
La memoria nasce sull'ordine e l'ordine diventa memoria. Altrimenti, come potremmo tracciare il filo del nostro racconto? L'uomo del passato concepiva la storia come un inanellamento di azioni che avrebbero trovato posto nella narrazione.
Non può esserci caduta nel momento in cui è creata parallelamente la possibilità di riscatto. È il mondo, è la vita. È la luce con l'ombra del dubbio che porta a riflettere. È la notte con il suo buio che chiude gli occhi al presente e ci conduce a noi stessi, alla nostra scintilla dormiente. Tutto questo ritroviamo riportato nel simbolo dell'ostia, più che simbolo, corpo vivente, mezzo di redenzione.
Sorprende come l'antica Grecia abbia dato risalto all'omosessualità e al neutro nel genere umano, al punto da destinare un'immagine divina a queste particolari espressioni della Natura. Sorprende sì, di primo acchito, sulla base del posizionamento al cospetto del Pensiero in modo severamente critico oltreché razionale.
Il deserto è il luogo del tutto e del niente. È il luogo in cui ci si confronta col proprio sé che è pienezza o nulla, a seconda. Si ha paura del deserto perché si è soli e in compagnia di sé stessi. Pertanto il deserto riflette chi siamo.
Sentiamo spesso in rapporto alla nostra società parlare di gregge quale metafora di un popolo che segue il padrone remissivamente, senza porsi domande. È esattamente il contrario del significato vero, quindi originario di gregge.
Abbiamo visto come le parole con tre lettere sono associate ad animali e non solo, che trovano posto nella conoscenza elementare dell'uomo, aiutandolo a riportarsi al paradiso perduto. Abbiamo quindi visto l'uro che addomesticato ha accompagnato l'uomo nelle sue fatiche rurali.
Quando si è nella luce non si ha bisogno di sognare. Il sogno non ha ragion d'essere. Lo abbiamo visto a proposito dell'Eden. Ma cosa succede ai luoghi che rivisitiamo nel sogno nel momento in cui vengono sognati?
Ci sono tre verbi in latino che indicano l'azione di sperare. Il primo è uguale all'italiano, il secondo è "confido-is", il terzo è "respicio-is". Mi soffermo sul primo e sul terzo.
La Madonna, alla luce di quanto detto, è la nuova Eva concepita senza peccato, che continuerà a mantenersi tale anche dopo la sua ascensione. La caduta nella tenebra della morte a lei è negata. È una creatura terrena che appartiene alla luce e in quanto tale, può riversare i suoi raggi d'amore ad illuminare la strada degli uomini.
L'uomo capisce di essere nato e di esistere nel momento in cui incontra l'ombra. È quanto avviene da quando precipita alla periferia di Dio.
Il sesto giorno Dio lo consacrò all'uomo, il settimo a sé stesso. Fa riflettere il numero sei in comune tra l'uomo e la Bestia. Dio ha riservato il sesto giorno all'uomo, affinché si fermasse e potesse viverlo spensieratamente, godendo del presente.
Finché la propria madre è in vita, la sensazione predominante è che il tempo si sia bloccato in un punto sospeso che non lascia scorrere la vita e la porti a ruotare intorno alla personale fanciullezza. La presenza di una madre è l'infanzia. Ci fa essere in un guscio inattaccabile e protettivo.
Dio ci ha dato i sensi perché scendessimo in profondità. I sensi si contano sulle dita della mano. Sono cinque e aprono all'operosità umana.
La sostanza è al di fuori dei sentimenti e il di fuori in questo caso, in rapporto alla sostanza divina va rapportato al di sopra. È questa la via del Cosmo seguita dalle Grandi Iniziazioni il cui fine era quello di riportare l'uomo a Dio che dimora oltre il manto di stelle.
Attraverso il tuo sorriso io rinasco. Attraverso il sorriso di chi amiamo, rinasciamo. Adamo non ha mai smesso di amare Dio e il nome in sé ricorda "andiamo verso Dio" anche se il significato etimologico è completamente diverso.
Il calice si afferma con l'episodio dell'Ultima Cena. Prima di allora la coppa era un utensile con cui bere e mangiare. Rimanda, come abbiamo già visto al significato di "copia" abbondanza. Attraverso la coppa uomini e donne dell'antica Roma si sentivano tra gli dei dove era in uso banchettare sorseggiando nettare e miele molto fluidi.
Il triangolo regge e sostiene il mondo. La vita è alimentata dal triangolo che ritroviamo non a caso anche nei simboli della tradizione massonica. La squadra e il compasso divaricato sono espressioni del triangolo uterino ma anche arnesi che hanno dato inizio a geometria e architettura.
L'idea di Dio vecchio e barbuto ci deriva dalla Bibbia ed è acquisita da Michelangelo che la trasferisce nelle sue opere. Saggi e sapienti sono canuti e con la barba, secondo la tradizione. Di contro a Dio, gli angeli da lui dipinti sono imberbi, e alcuni di loro sono persino selvaggi nella corporatura e negli atteggiamenti.
Lo smarrimento è già perdita.
L'immobilità è un punto morto da cui ripartire. È l'attesa del riposo di Cristo in croce. La morte non è mai sconfitta ma via verso altro. È liberazione che purifica ed è quanto il Messia ci ricorda dall'alto delle atrocità subite.
Già da bambini c'insegnano a dire io con le dita. L'"Io presente" in classe durante l'appello alzandosi in piedi o più semplicemente alzando braccio e indice in verticale, segna il proprio esserci. Di contro all'io presente c'è il tu, evidenziato dal dito indice in orizzontale. L'"Io presente" e il "tu sei" sono sempre illustrati dalla posizione dello stesso dito non a caso definito indice, in quanto indica.
L'essenziale è nella semplicità. L'essenziale riconduce all'essenza che si esprime nell'umiltà. Tramite un linguaggio artistico elementare ma significativo, riusciamo a interpretare i simboli. Nel momento in cui quanto intendiamo comunicare ha un valore elevato, i segni acquistano una rilevanza estetica che impressiona e immette nella superiorità del linguaggio visivo.
La voce è presenza. È il vestito della nostra parte eterica. La voce possiede ali e la capacità di muoversi sulla scala dei toni in base alle emozioni e agli umori della nostra anima. Potremmo dire che ha una sua musicalità che varia da persona a persona, e propri colori dipendenti dalla parte più sensibile di chi la usa.
È curioso come il numero sei a parola corrisponda alla seconda persona singolare del verbo essere. Il numero sei è associato alla stella a sei punte o sigillo di Salomone e racchiude la totalità in tutti i suoi aspetti e positivi e negativi. Noi siamo esperienza c'insegna il verbo sei, ma è anche vero che si è prima del tempo e nel senza tempo dimora del Sé, ed è quanto ancora la seconda persona del verbo essere ci ricorda.
Le anime si spostano nella luce. E la luce colma ogni distanza. È questa la dimensione del Paradiso in cui ogni forma è assorbita dalla luce che pervade con la sua coralità, presevando l'invidualità di ciascuna anima.
Che cos'è la quiete se non uno stato di sospensione tra l'umano e il divino? L'uomo ha imparato a concepire Dio grazie all'amore che lo ha elevato e grazie alla morte che è ogni punto di arrivo di una scala infinita. Quello che definiamo piano è in realtà inesistente perché di piano non c'è nulla. Tutto è di doppie, triple dimensioni e sferico e anche il vuoto ha una forma che lo fa essere oltre e altro dal nulla.
La bellezza dev'essere toccante. Altro dallo stupore che poi non lascia segni e colma di vuoti e delusione. I Giapponesi convertono la loro malinconia in bellezza conferendo alla prima riflessi d'argento. La cultura giapponese si fonda sul senso della bellezza che non è mai eccessiva ridondanza che si distacca dal reale.
A "mese" si riconduce anche "menes: luna". Questa radice antica, indoeuropea di "luna" fa capolino dagli aggettivi "mensile, mensilità..." e la ritroviamo anche in "mensa". La luna anticamente dava la misura a tutte le cose e la luna fertile era chiamatai del raccolto.
La solennità è una veste limpida che si cala dal cielo. È velo che non ha bisogno di fronzoli e l'eleganza è quella di chi la indossa. Non è un accessorio da esibire ovunque, evoca la leggiadria del silenzio. Conduce a sé chi la possiede e chi vi assiste ammutolisce. La solennità è il respiro del sacro.
"Mese" significa raccolta. Esso includeva non solo i riferimenti alla produttività agricola, ma anche alle eventuali festività che lo contraddistinguevano. Va detto che i nostri antichi predecessori erano molto più festaioli di noi.
Se la settimana ha in sé molteplici significati, altrettanti ne contiene e produce la parola "mese". Tale etimo si riconduce a "messe" col valore di "raccolta". Il mese è una raccolta di giorni, parrebbe suggerire la relazione con "messe".
"Settimana" vuol dire "sette mattine." In Calabria "settimana" si dice "simana" ossia "sei mattine". Il vocabolo dialettale non esprime una contrazione come ci si aspetterebbe, voluta dal parlato veloce e colloquiale. "Simana" ha un suo significato e indica le sei giornate lavorative.
È l'imperfezione che ci rende umani e più cerchiamo la perfezione nelle persone, tanto più ci allontaniamo da Dio. Dio ha creato l'uomo con l'anima affinché si concentrasse su altro dalla perfezione la cui ricerca si esprime nelle conoscenze matematiche e nella coltivazione di ciò che è esatto.
Amare equivale a curare, ma è anche vero che impariamo ad amare impegnandoci a salvaguardare ciò che curiamo. Un tempo la trasmissione era legittima e la si respirava attraverso l'educazione che veniva impartita. S'imparava a muovere i primi passi a quanto tramandato e c'erano pertanto camminamenti immaginari su cui procedere.
Amare è vedere ciò che è invisibile agli altri. È vedere le stesse cose o intuirle. Ciò è possibile se si possiedono due anime a incastro e l'incastro corrisponde all'inversione. Quante volte usiamo dire di una coppia "Sono il giorno e la notte?" Lasciando intendere che è impossibile che il rapporto regga? E invece dura?
Se volessimo rappresentare con un'unica immagine "I racconti di mille e una notte" nulla di più appropriato troveremmo del tappeto volante. Questo è l'effigie eloquente dell'immaginazione che crea in rapporto alla stupefacente mappatura del cielo che riproduce i disegni di miriadi di stelle, una scacchiera mobile sul manto azzurro dell'etere.
Abbiamo visto nel precedente articolo il significato sul piano verticale dell'altra faccia o rovescio della medaglia. In questo vedremo quali sviluppi ha la contrapposizione sul piano orizzontale. A proposito di ciò che è al di sotto, è giusto operare un distinguo tra ciò che è interno da ciò che al di sotto e che contempla un'implicazione escatologica morale e teologica.
Borbotta il cielo. Si avvicina qualcosa di forte. Sembra un esercito agguerrito il temporale che si annuncia con uno scalpitare di cavalli che rimbomba per le stalle del cielo. E mi sovvengono urla inferocite di epoche andate. Grida e pianti, e morti e sangue.
Il termine "fuso" oltre che ad essere legato al verbo "facere", discende dalla radice di "fio fis" la coniugazione latina di "divenire". "Factus sum" contratto da' "fuso". Il fuso crea, determina e prepara al divenire. Non si può creare se non si è e questa condizione la ritroviamo nell'antetempore in Dio.
"Ricamo" deriva dall'arabo "Raqama" col significato di "punteggiare". Entrambi gli etimi però fanno capo alla radice indoeuropea da cui deriva il latino "Clamare" dagli svariati significati tra i quali "definire" e il nostro "Chiamare" anch'esso dall'uso versatile.
Il termine "fuso" deriva da "facere". Tramite il fuso dalla forma a spoletta si crea la filatura al telaio. La forma a spoletta del fuso la ritroviamo nella trottola. La rotazione consuma e assottiglia. In questo senso la filatura delle Parche viene associata allo svolgersi della vita fino alla fine del viaggio.
Ecco perché ho sempre gli occhi all'insù. Il cielo è un inferno azzurro. Il racconto che scivola su lacrime e foglie al passo delle fate. Non siamo noi a rapire il cielo con gli occhi. È lui a sorprenderci in fretta e in un attimo ci rapisce colmando vuoti e silenzi.
È facile chiedersi se ci sia un'attinenza tra le fate e le stelle. "Fata" deriva dalla stessa radice di "fato" che a sua volta si ritrova e nel verbo Fare (facere in latino) e nel verbo Dire ( femì in greco). La fata è colei che predice in modo inviolabile e quanto predice succede.
Siamo soliti rapportare il triangolo e il quadrato alle costruzioni egizie a forma piramidale. Piramide e cono sono figure che hanno al pari della ruota cambiato e in positivo il percorso dell'evoluzione umana. Con la ruota entriamo a pieno titolo nella storia designata dall'agricoltura. Da qui lo sviluppo e poi il declino delle grandi civiltà mesopotamiche sopraffatte dalle culture limitrofe meglio organizzate nell'arte della guerra.
Spesso, un simbolo o un mito o una storia popolare hanno un doppio significato, l'uno in opposizione all'altro, da lasciar emergere il dubbio che si trattino degli stessi o della stessa. Premetto che come per le abitazioni civili e religiose, anche il patrimonio popolare collettivo subisce stratificazioni connotative che vanno ad intaccarne le basi originarie.
L'archeologia ci restituisce i primi specchi risalenti all'Egitto. L'opulenza faraonica c'introduce a una civiltà impostata sul richiamo della terra al cielo e ci muove verso il significato originario dello specchio. Quello di creare al pari del lago, una via intuitiva che nasca dall'ispirazione del mondo superiore legato alla sua creatura, il mondo terreno.
Il lago da "locus: luogo" e da "lux: luce" è uno specchio d'acqua circolare che rimanda al luogo recintato del Paradiso e all'Eden. Lo specchio che riflette l'immagine è per tradizione di forma ovale, ma inizialmente era piccolo e tondo.
"Remora" e "Rumore" si appartengono. Entrambi gli etimi derivano dal latino "mor moris" che significa usanza e legge. Sia la remora che il rumore intervengono a interrompere il corso di un qualcosa di accettato e prestabilito.
Le parole "campo" e "uccello" in latino sono molto simili e hanno la stessa origine da cui deriva la parola "agro" e "agnello", così come "agile" in rapporto a "giovane". Alcuni paesi della Calabria, come Aiello Calabro e Serra d'Aiello, traggono ispirazione nei nomi dal latino "agellum" che significa appunto "campo", incontrando anche la radice del latino antico conservata nel nome "augellus".
La cultura non può prescindere dell'educazione e l'educazione non può prescindere dal temperamento fisico e muscolare. "Temprare" e "Temperare" menzionano il fattore tempo che si esprime in cura e crescita. Nonostante anticamente il tempo fosse più breve per ciascun essere umano, la lentezza si esprimeva in cura e attesa.
Come l'Eden così i Campi Elisi e ogni luogo ambito che si contempli, hanno il loro specchio d'acqua associato a un gentile soleggiamento e a una natura odorosa e vivace. Lo specchio d'acqua o lago che tanto ricorda i Campi Elisi delle culture nordiche e scandinave è una porta magica che mette in comunicazione quello col nostro mondo.
La parola elisir si ricollega alla radice etimologica di Elysium, luogo destinato alla beatitudine nell'altra vita per coloro che si sono distinti in questa vita. È concepito come uno spazio riservato alle anime di chi si è distinto in guerra e per saggezza.
La parola "cuore" apre a interessanti risvolti. Sappiamo che deriva dalla radice indoeuropea "krn" da cui discendono anche "corona" e "corno" a indicare il ruolo all'interno del corpo umano che occupa, e la forma.
I piedi, come le mani riproducono il ritmo della vita. I piedi sono associati agli elementi fuoco e terra, le mani all'aria e all'acqua. I fachiri camminano a piedi nudi sul fuoco senza bruciarsi, come anche su aghi e chiodi o scaglie di vetro senza provare alcun dolore.
Il piede ci comunica il senso della stabilità e della presenza. Ogni piede ha il suo rumore di passi e la visita di un defunto la si riconosce dal suono dell'andata che lui mantiene, sempre e assolutamente personale. Il passo indica movimento. È il rintocco della vita che scorre ma esprime anche avvicinamento e unione, se pensiamo al termine "passo" di montagna.
I piedi per le donne orientali sono la parte del corpo meno nobile che ha richiesto a seconda della tradizione di riferimento, interventi di ingentilimento a volte drastici.
A differenziare l'uomo dagli animali è proprio la conversione della zampa in mano. Il primo uomo, parente dei primati, utilizzava le mani come appiglio per aggrapparsi e per cacciare.
Se la separazione è del diaballo da cui ha origine la parola diavolo, lo stesso compito è affidato al fulmine che è un elemento naturale ma a cui viene affidato un corredo di simboli. Tra questi la spada.
Oltre alle parole accomunate dalla stessa radice etimologica ne esistono altre che appartengono a famiglie di vocaboli legati tra loro dal suono. È come se il suono oltre a rappresentarle, ne giustificasse l'appartenenza.
Il fuso gira sotto il comando della ruota spinta dalla donna. Ciò che è tondo parte già da un impulso rotondo. La rotondità in passato era ricerca e imposizione dell'ordine sul Caos che si esprimeva sulla pelle rugosa e segnata del paesaggio.
Le radici etimologiche ci parlano e ci indirizzano verso il significato di nomi e parole e ci consentono di fare il confronto sulle traduzioni degli stessi etimi in lingue diverse. Spesso uno stesso dio in base alla cultura in cui si diffonde, acquisisce un nome parallelo che apre a nuovi indizi.
La "m" è la lettera della memoria. L'eco che ci riporta alla genesi del Cosmo. È il raggio che unisce la vita al momento dell'origine localizzato all'interno di ognuno di noi. La "m" era la lettera di Aum o Om che apre le preghiere Buddiste e "m" è anche la lettera della parola universale mamma. La si trova nelle forme di vita più evolute, "animale" e "umana".
Siamo soliti accostare la perfezione alla completezza, quando in realtà la perfezione è il respiro dell'assenza traslato in chi osserva. La sublimazione è nell'immaginazione suscitata dall'imperfezione, che si fa stimolo e volo.
C'è sempre un'altra metà delle cose che noi non vediamo. È difficile cogliere il tutto, specialmente ciò che non fa rumore, perché è proprio lì che si annida la conoscenza e proprio nel silenzio crollano i muri di stereotipi e di finte conoscenze montati da un vociare insulso.
Raccogliamo ciò che diventa mucchio. Cogliamo invece, pezzi unici, ciascuno con un suo valore. Questa azione è data da quanto ci presenta il destino e non quanto prendiamo per strada. Certo, entrambe le azioni sono introdotte da una scelta ma la prima è automatica, la seconda è avvertita.
È dei popoli dove si sono combattute aspre battaglie la venerazione dei morti. È delle terre molto antiche, dove ancora forte è la lotta tra il precario e l'eterno, come ci raccontano i frequenti episodi di terremoto.
Da sempre il fiore occupa un posto privilegiato nella rappresentazione artistica. Il fiore, che non sia quello riportato realisticamente, ma che venga riproposto attraverso una ricercata veste estetica, lo si riconosce anche se più che raro è unico.
La figura della Maddalena non può essere separata dall'azione di cospargere i piedi di Cristo con olii e profumi preziosi. È il riconoscimento della santità del Cristo. La Santità porta all'Uno.
Tutto parte da un sogno. E poi da una fune che lega quanto visto interiormente al mondo che si apre. Nel meccanismo di apertura qualcosa va via, viene consumata e altro si aggiunge.
La notte non nasce come dea in quanto opposta alla definizione di dio che è luce. Ma è proprio dalla notte, espressione della vita intrauterina, che traggono origine gli dei. La notte è riflessa nel mare che rintracciamo nell'etimologia del nome Maria, la Madre di Dio e di Maya la madre di Budda.